Francesco Tiradritti
Leggi i suoi articoliLe vicende che precedono l’acquisizione della «Mensa Isiaca» (Museo Egizio di Torino) da parte del cardinale Pietro Bembo (1470-1547) sono abbastanza oscure. Lo storico Luigi Pignoria (1571-1631), al quale può essere attribuita la prima edizione del celeberrimo manufatto, fornisce due versioni: Bembo l’avrebbe recuperata nella bottega di un fabbro oppure l’avrebbe ricevuta in dono da papa Paolo III (1468-1549). L’unico dato certo è che non vi è alcuna menzione della Mensa Isiaca prima del sacco di Roma del 1527. Si è perciò supposto che la sua comparsa fosse legata a uno degli innumerevoli saccheggi perpetuati durante i mesi di saccheggi e terrore che si abbatterono sulla città eterna.
La Mensa Isiaca è una lastra in bronzo (128x75x5 cm) decorata in agemina e niello con motivi egittizzanti disposti su tre registri. Il mediano ha dimensioni maggiori ed è quasi interamente occupato da una scena centrata su un’immagine di Iside in trono all’interno di una cappella. Gli altri due registri recano figure divine di varia natura impegnate in azioni di non sempre facile comprensione.
Il modellato delle figure e il loro elaborato vestiario sono caratteristici dell’arte egizia di epoca tolemaica (III-I secolo a.C.). Errori e fraintendimenti iconografici, dimenticanze e omissioni inducono però a ritenere che gli esecutori, benché dotati di una buona conoscenza della cultura faraonica, non dovessero tuttavia farne parte. Lo confermano anche le iscrizioni geroglifiche realizzate a partire da segni privi di significato e puramente decorative. La produzione della Mensa Isiaca è perciò stata attribuita a un ambito romano di I secolo d.C. La datazione è altresì confermata dal confronto con opere simili, provenienti da Ercolano e Pompei, fortemente influenzate dall’egittomania in voga al momento in cui le due città furono distrutte dalla furia del Vesuvio.
Alla morte del cardinale Bembo la preziosa collezione di reperti che aveva radunato nella sua residenza padovana passò in eredità al figlio Torquato (1525-95) che commissionò una riproduzione della Mensa Isiaca all’incisore Enea Vico (1559). Pochi anni dopo Torquato Bembo cominciò a disfarsi delle antichità paterne lasciando tra le ultime proprio la Mensa Isiaca che vendette al duca Vincenzo I Gonzaga di Mantova (1562-1616) nel 1592. Del prezioso reperto tornarono a perdersi le tracce fino a quando non riapparve a Torino nella collezione di antichità dei Savoia. Le notizie del suo arrivo nella città sabauda sono confuse. Secondo alcune testimonianze vi giunse all’indomani del sacco di Mantova (1630), secondo altre invece i Gonzaga l’avevano venduta a Carlo Emanuele I (1562-1630) pochi anni prima.
Nel frattempo, la copia eseguita dal Vico circolava tra gli eruditi dell’epoca suscitando notevole interesse scientifico. Il primo a dare più diffuse notizie della Mensa Isiaca e a tentarne un’interpretazione di figurazioni e iscrizioni geroglifiche fu il già menzionato Lorenzo Pignoria. Ancora maggiore fu l’attenzione prestata dallo statista, matematico e astronomo Hans Georg Hörwarth von Hohenburg (1553-1622) che, nel suo Thesaurus hieroglyphicorum, dedicò due tavole, la seconda speculare rispetto all’originale, al facsimile della Mensa riproducendone molti particolari della sua figurazione in altre illustrazioni. L’opera di von Hohenburg è il primo tentativo di raccogliere le iscrizioni geroglifiche allora note in un repertorio. Oltre alla Mensa Isiaca il suo volume contiene riproduzioni di altri monumenti egizi, veri o presunti, presenti in Europa. Del Thesaurus hieroglyphicorum fece buon uso Athanasius Kircher che trovò uno dei maggiori spunti d’ispirazione per i suoi tentativi di traduzione dei geroglifici egizi proprio nella Mensa Isiaca. Difficile è stabilire quali siano state le reali motivazioni che spinsero i Savoia ad acquistarla. Il suo arrivo a Torino dovette di sicuro attribuire maggiore credito alle idee promanate da Pingone relative alle origini egizie della città accrescendo conseguentemente la predilezione verso la civiltà faraonica da parte della casa regnante che, legando il proprio destino a divinità nilotiche, si trovava nobilitata nelle proprie origini.
Per oltre due secoli, fino alla decifrazione dei geroglifici da parte di Champollion, la Mensa Isiaca fornì ad artisti ed eruditi un repertorio figurativo «egizio» straordinario e le sue immagini si ritrovano estrapolate e copiate in motivi egittizzanti che nel secolo XVIII entrarono a fare parte del repertorio decorativo delle dimore di nobiltà e borghesia. Dal prezioso reperto trasse sicura ispirazione Giambattista Piranesi per realizzare alcune tavole di Diverse maniere d’adornare i cammini ed ogni altra parte degli edifizj desunte dall’architettura egizia, etrusca, e greca (Stamperia di Generoso Salomoni, Roma 1769). Dettagli figurativi della Mensa Isiaca compaiono anche nella decorazione delle Sale egizie di due edifici piemontesi: la Villa della Saffarona di Lucento (1784) e il Castello di Masino (inizio 1800).
Questo articolo è dedicato alla memoria di Enrichetta Leospo (1947-2001), curatrice del Museo Egizio di Torino, istituzione per la quale provava un immenso amore. A lei si deve lo studio a tutt’oggi più completo dal titolo: La mensa isiaca di Torino, E.J. Brill, Leida 1978.
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