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Il Bardo ad Aquileia

Veronica Rodenigo

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Dopo gli attentati parigini del 13 novembre assume una connotazione drammaticamente ancora più attuale la mostra «Il Bardo ad Aquileia» in programma presso il Museo Archeologico Nazionale dal 5 dicembre al 31 gennaio

L’iniziativa, promossa da Fondazione Aquileia in collaborazione con la Soprintendenza archeologica, il Polo museale del Friuli Venezia Giulia e il governo tunisino, porta nella cittadina friulana una selezione di 8 reperti provenienti dal Museo archeologico del Bardo (Tunisi) che nel 18 marzo scorso fu teatro del sanguinoso attentato a opera dell’Isis.

«Si tratta di una finestra sulle collezioni del museo, afferma nel catalogo il direttore Moncef Ben Moussa, un invito a riscoprirsi nella storia dell’altro», peraltro accomunata dal dialogo interculturale che nell’antichità caratterizzò l’Africa settentrionale e la colonia romana di Aquileia.

La finalità: «Trasmettere un messaggio di pace attraverso la cultura in un mondo dove la violenza ha assunto una spirale inquietante», prosegue Ben Moussa. Una risposta alla furia iconoclasta (mossa, com’è noto, più che da ragioni ideologiche, da interessi economici legati al traffico clandestino dei reperti) che ribadisce con forza la necessità di preservare le testimonianze della storia nelle sue molteplici radici cultuali.

Così nelle tre sale al piano terra del museo aquileiese trova spazio un allestimento temporaneo e flessibile che attraverso un sistema di quinte consente di valorizzare sia i reperti tunisini sia le collezioni di statuaria aquileiese.

La selezione del materiale proveniente dal Bardo offre uno spaccato dell’arte e dell’artigianato delle province africane in età romana rappresentandone i caratteri salienti ed è corredata da un catalogo bilingue (italiano e francese, Umberto Allemandi editore). 

D’altro canto, specifica nel testo Marta Novello, alla guida del museo di Aquileia, «i legami artistici e culturali di Aquileia con le province africane si inseriscono nell’ambito di un ampio sistema di rapporti di natura strategica ed economica che trova la sua più compiuta espressione a partire dal III secolo d.C., e nei due secoli successivi, in coincidenza con l’intensificarsi degli scambi commerciali tra l’Africa Proconsolare e l’Italia. È inoltre opinione comune che, unitamente agli oggetti d’uso e alle derrate presenti nei contenitori da trasporto, lungo le più battute vie di comunicazione terrestri e marittime dell’Impero viaggiassero anche cartoni e maestranze, contribuendo alla creazione di una cultura figurativa condivisa, di cui rimane testimonianza nei più diversi supporti iconografici: dalla ceramica, all’artigianato di lusso, alla decorazione pittorica e musiva».

Tra quanto presente in mostra: mosaici tra cui due piccoli riquadri con figure di lottatori provenienti dal tepidarium delle terme di Gigthis (Henchir Bou Ghrara, II-III secolo d.C.), una scultura raffigurante la testa dell’imperatore Lucio Vero (da Thugga, II secolo d.C.), una statua marmorea di Giove (da Oued R’mel), la stele funeraria di Marcus Lucinus Fidelis, originario di Lione, arruolato come cavaliere nella III Legione Augustea e sepolto ad Ammaedara (Haïdra, I secolo d.C.), due vasi in ceramica del III secolo d.C.

La mostra è la prima tappa di un programma più esteso denominato «Archeologia ferita» che si propone, con cadenza semestrale e sino al 2017, di portare nel museo aquileiese altre opere provenienti da musei e siti colpiti dall’Isis affiancandovi un calendario d’incontri e approfondimenti.

Veronica Rodenigo, 10 dicembre 2015 | © Riproduzione riservata

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