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Sala con le opere di Zorio, Mattiacci, Gastini e Paladino

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Sala con le opere di Zorio, Mattiacci, Gastini e Paladino

Il Museo del Novecento ora arriva al 1993

L’istituzione milanese prima si fermava a inizio anni ’80, ora procede fino all’anno «in cui tutto cambiò», spiega il direttore Gianfranco Maraniello. Pronta alla contemporaneità quando (forse già nel 2026) occuperà il Secondo Arengario

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Non un riallestimento, ma un nuovo disegno sul fronte delle opere esposte, e un radicale ripensamento sul fronte dell’architettura. Un ridisegno inevitabile, perché il Museo del Novecento, che prima si fermava ai primi anni ’80, ora procede fino al 1993, pronto ad affacciarsi alla contemporaneità quando (presumibilmente nel 2026) si apriranno gli spazi del Secondo Arengario. Dell’intervento appena concluso sul percorso, e del cantiere che sta realizzando quella sorta di Kunsthalle che si aprirà nell’edificio gemello, parliamo con il direttore del museo (e dell’intera Area Musei d’Arte Moderna e Contemporanea) Gianfranco Maraniello, che dalla sua nomina, nel 2022, ha avviato il riallestimento delle collezioni, a iniziare dalla Galleria del Futurismo. 

Direttore Maraniello, il Museo del Novecento si arrestava cronologicamente ai primi anni ’80. Come ha composto il nuovo ordinamento? 
Si è trattato di un radicale ripensamento delle collezioni degli ultimi decenni, non solo allargandoci agli anni ’90 ma dando un senso compositivo all’insieme, con una logica di scelta su artisti e fenomeni. Inoltre, anche alla luce della prossima offerta nel Nuovo Arengario, sono stati creati spazi più dinamici con un ripensamento dell’architettura, condotto in dialogo costante con Italo Rota (l’architetto, scomparso nello scorso aprile, che progettò il museo, Ndr). Gli spazi interessati sono quelli al quarto piano, già del Cimac (Civico Museo d’Arte Contemporanea, chiuso nel 1998, Ndr), di pertinenza del Museo del Novecento. E qui abbiamo allestito la nuova sezione «Gesti e processi», da Piero Manzoni a Cattelan, grazie alla donazione della sua opera realizzata con le macerie del Pac dopo l’attentato del 1993. Il 1993 è l’anno con cui si chiude il percorso, perché quello, a Milano ma non solo, fu un vero spartiacque: nel 1992 c’era stato Mani Pulite, nel 1993 l’attentato al Pac, nel 1994 l’arrivo sulla scena politica di Berlusconi. E la globalizzazione, che si compì anche con la diffusione di internet. Fu allora che tutto, anche nell’arte, cambiò. 

Diceva che siete intervenuti sull’architettura. Come? 
Sempre in accordo con Italo Rota, abbiamo aperto tutti i varchi, abbattuto le cesure e siamo tornati alla struttura architettonica originale, acquisendo un’impensata flessibilità. Ma, soprattutto, abbiamo riaperto tutte le finestre su entrambi i lati del museo, realizzando una vera promenade con una vista spettacolare, in cui si ritrova anche il senso di alcune opere: il disegno progettuale di Christo per l’«impacchettamento» del monumento a Vittorio Emanuele di Piazza Duomo, accostato alle immagini di Ugo Mulas che documentano quei fatti (la mostra funerale, nel 1970, del Nouveau Réalisme), è ora in perfetta continuità visiva con il monumento reale, che si vede dalle finestre. Quella del «museo soglia», del resto, era un’idea sostenuta da Rota e qui l’abbiamo messa in atto. Ma voglio aggiungere che, come la Sala Fontana, con il suo «Concetto spaziale» a soffitto di Lucio Fontana (il neon per la IX Triennale del 1951, Ndr), è entrata in stretta relazione con la piazza e con la città, così è da oggi per l’intero secondo piano di Palazzo Reale, con le sue 13 finestre illuminate e alcune opere che si potranno percepire sin dalla Piazzetta Reale. Del resto, se si ha un museo in Piazza Duomo è un delitto non connettersi alla città! 

Gianfranco Maraniello. Foto: Margherita Gnaccolini

All’inaugurazione del museo, nel 2010, le collezioni successive al 1968 erano deboli. Come si è ovviato? 
Ci sono giunte nel frattempo importanti donazioni: penso a Maurizio Cattelan, a Grazia Varisco, Grazia Toderi, Liliana Moro, Stefano Arienti con l’importante puzzle del «Giardino di Monet», dono di Claudio Guenzani. Penso anche a Enrico Baj di cui, alla fine della mostra in corso nella Sala delle Cariatidi, riceveremo, per volontà della famiglia Marconi, «I funerali dell’anarchico Pinelli». E penso a Ugo Mulas, di cui avremo 21 immagini. Con lui, finalmente, la fotografia entra nella collezione permanente del museo. 

Che cosa ospiterà il Secondo Arengario, che amplierà il Museo del Novecento? 
Sarà dedicato alle ricerche contemporanee, alle sperimentazioni in corso, e quindi sarà più internazionale e dinamico: si terranno mostre nei grandi open space pensati proprio a questo scopo, perché funzionali ai nuovi linguaggi dell’arte. 

Ma a che punto è il cantiere? 
La rotta è segnata: l’opera è interamente finanziata, grazie alla donazione della signora Pina Antognini e al reperimento di fondi europei che garantiranno la realizzazione del progetto esecutivo elaborato dagli architetti vincitori del concorso: capogruppo Sonia Calzoni, con Pierluigi Nicolin, Ferdinando Aprile, Giuseppe Di Bari e Bruno Finzi. 

Si farà anche la contestata passerella aerea tra i due palazzi?
Ovviamente si farà. Io credo nel rispetto delle competenze e rigetto quello che chiamo «a-me-mi-piacismo». La passerella era prevista nel bando, la Soprintendenza si era già espressa nel merito: perché rimettere in campo questa polemica oziosa?

Ada Masoero, 20 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

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