Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliÈ giunto l’11 dicembre alla Galleria Davia Bargellini di Bologna (Musei Civici d’Arte Antica) il «Ritratto di vedova», opera tarda di Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529-92). Viene dalla nota collezione milanese di Geo Poletti (1926-2012) ed è concesso in comodato gratuito da Giovanna Poletti Spadafora nell’ambito del programma di pubblica fruizione delle opere raccolte dal padre che vede destinatari vari musei europei: al Petit Palais di Parigi il «Democrito» di Jusepe de Ribera oggi esposto in mostra, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara il busto dell’«Inquisitore Paolo Costabili» di Alessandro Vittoria, a Brera «Venere e Cupido» di Boccaccino, «Ritratto di Gentiluomo» di Magnasco, «Dama» di Carlo-Innocenzo Carloni e, in dono, al Poldi-Pezzoli la «Sacra Famiglia» di Paolo Pagani e «San Francesco» di Giambattista Crespi il Cerano. E «ovviamente» il Passerotti a Bologna, al Davia-Bargellini.
Il perché lo spiega con passione Giovanna Poletti. «È stato qui al Davia-Bargellini, quando preparavo a Bologna la tesi su Passerotti con cui mi laureai in Storia dell’Arte alla Statale di Milano con Gian Alberto Dell’Acqua e studiavo in Archiginnasio le pagine che Oretti gli dedica, che trovai e identificai, facendone il clou della ricerca, due miniature allora anonime ma di chiara autografia di Passerotti. Mi è quindi naturale ed affettivo che quest’opera sia proprio qui esposta e goduta dal pubblico bolognese».
Pubblicato proprio da Giovanna Poletti (1985), questo «Ritratto di vedova» è tappa non trascurabile dell’opus di Passarotti: «ritratto femminile, rimarca la proprietaria, e perciò raro nell’iconografia di Passerotti», è databile intorno al 1585 e raffigura un’anziana signora, la veste nera e il velo bianco in capo a indicarne lo status vedovile. Che fosse una dama oppure no, non è dato sapere con precisione: gli abiti sono di qualità ma non fastosi com’era di norma fra le gentildonne della città e i tratti non particolarmente aristocratici (più da abbiente mercantessa o perfino apprezzata e amata governante, balia, cuoca, insomma da «sdàura», per dirla in bolognese). D’altra parte, matrone e donzelle della felsinea crème senatoria spesso non brillavano per leggiadria d’aspetto, eleganza di tratti e araldica distinzione: il dubbio rimane.
Il «ritratto istoriato» (topos pittorico di sua invenzione composto e sussiegoso, se non serioso ma che tocca talvolta vette intime ed argute, come col «Ritratto di uomo con cane» dei Musei Capitolini), fu la chiave di volta del successo di Passerotti ritrattista nella Bologna della Controriforma, proprio la città da cui il vescovo riformatore Gabriele Paleotti (1522-97), col suo trattato del 1582, accorato elaborava la funzione edificante e pedagogica dell’immagine artistica «propaganda fide». Questa vedova benestante di vita certamente esemplare retta e devota (magari un po’ noiosa ma di quell’epoca non si può mai dire: si pensi alle stravaganti e pruriginose pitture segrete dell’irreprensibile Lavinia Fontana) ben si adegua agli intenti e dettati del cardinale e mostra chiaramente l’estro di Passerotti a interpretare le composite esigenze socioculturali, politiche e di «decoro cristiano» dell’epoca.
Così apprezzato (ed anche per altri generi di pitture), Passerotti dipingeva per alti dignitari della Chiesa e per aristocratiche famiglie senatorie, fra cui «ovviamente» (ancora una volta) i Bargellini: per loro Bartolomeo realizzò i cinque celebrativi dipinti d’antenati conservati alla Galleria Davia-Bargellini.
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