Uno still dal film «Raub» di Patrick Topitschnig e Michaela Taschek

© Patrick Topitschnig, Michaela Taschek

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Uno still dal film «Raub» di Patrick Topitschnig e Michaela Taschek

© Patrick Topitschnig, Michaela Taschek

Il Wien Museum e il Museo Ebraico fanno il punto

25 anni di ricerche sulla provenienza delle opere finite tra il 1938 e il 1945 nei musei viennesi dopo le razzie naziste ora riepilogati in una doppia mostra

Il 29 aprile 1999 Vienna promulgò una legge regionale che allineava le istituzioni municipali alla Kunstrückgabegesetz, la legge sulla restituzione che il 4 dicembre 1998 aveva obbligato i musei statali austriaci a controllare le proprie collezioni e ad attivarsi in caso di beni culturali passibili di restituzione, perché rimasti impigliati nel meccanismo delle razzie naziste, o delle vendite al ribasso da parte di cittadini in fuga dal regime, o ancora del rifiuto da parte di istituzioni pubbliche a restituire nel dopoguerra. 

In quanto musei municipali, parallelamente ad altre istituzioni anche il Wien Museum e lo Jüdisches Museum, il Museo Ebraico, avviarono sistematici progetti di ricerca e cominciarono a restituire. Venticinque anni dopo, i due musei fanno il punto con una doppia mostra sviluppata dai curatori Hannes Sulzenbacher (Jüdisches Museum Wien) e Gerhard Milchram (Wien Museum). Il focus di «Raub» (Rapine), allestita dal 6 giugno al 27 ottobre, è la presentazione al grande pubblico di come i beni culturali razziati trovarono la via verso le collezioni dei musei viennesi tra il 1938, anno dell’annessione dell’Austria al Reich tedesco, e il 1945: «Gli eventi concreti che consentirono quell’appropriazione di oggetti con mezzi illegali, semilegali o legalizzati, laddove la loro successiva restituzione non cancella quegli eventi criminali», spiega Gerhard Milchram. 

Il percorso espositivo, ed esperienziale grazie a 24 installazioni fra l’altro cinematografiche curate da Patrick Topitschnig e Michaela Taschek, ricostruisce 12 storie esemplari e inizia nella sede distaccata del Museo Ebraico sulla Judenplatz, dove il focus sono le razzie vere e proprie: «Un luogo simbolico che sta per le migliaia di appartamenti e case di ebrei saccheggiati sia da organizzazioni naziste sia con “arianizzazioni incontrollate” da parte di persone private», continua Milchram. Ciò che vi viene tematizzato assieme alle biografie delle vittime è l’individuazione delle opere da sottrarre, il loro impacchettamento, la loro asportazione dalle dimore che avevano contribuito ad abbellire

Nel Wien Museum, nella mostra paradigmaticamente proposto come rappresentante di tutti i musei viennesi, va in scena lo spacchettamento delle opere, il loro inglobamento in collezioni pubbliche e lo sviluppo di procedimenti di restituzione nel dopoguerra: «La mostra presenta gli stessi oggetti in due luoghi diversi: dapprima durante la loro sottrazione ai proprietari e poi durante la loro appropriazione da parte delle istituzioni di Vienna», continua Milchram. 

Fra le vicende selezionate per la mostra, che intende essere anche un’installazione artistica e un temporaneo memoriale, si affacciano nomi di primo piano e di persone comuni: il lascito di Johann Strauss, un busto di Beethoven, mobili Biedermeier, una collezione di orologi, un archivio della Wiener Werstätte. «Raub» illustra anche l’attività durante il nazismo di Dorotheum e della Vugesta (ufficio della Gestapo per la gestione dei beni degli emigranti ebrei, Ndr) in quanto istituzioni fulcro nella vendita di beni depredati. Fra il 1938 e il 1945 la città di Vienna ne acquistò 1.478, presumibilmente frutto di arianizzazioni.

Flavia Foradini, 04 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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