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La copertina del volume «La vita assassina» (1907-08) di Félix Vallotton

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La copertina del volume «La vita assassina» (1907-08) di Félix Vallotton

Il dottor Divago: Provvido Calasso

Divagazioni letterarie di Stefano Causa

Stefano Causa

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La funzione Calasso tra titoli, copertine e risvolti? Difficile sopravvalutarla. Che lo scrittore editore lettore (senza trattino), scomparso ottantenne tre anni fa, stia tra gli ultimi storici d’arte, dei meno ristretti del panorama europeo non avevamo bisogno di appurarlo dalle pagine urticanti su Longhi contenute nel Rosa Tiepolo (2006) o nelle incursioni ottocentesche nel libro su Baudelaire (2008). In Italia non c’è gusto a essere intelligenti; ma nessuno più di Calasso ci ha abituati a ricontattare i nostri muscoli meno allenati.

Interi scomparti della pittura sono stati riscoperti da Adelphi. E come vagliatore di copertine, che nelle sue mani salivano al grado di autentico atto critico, Calasso è stato determinante per mordere ai fianchi l’idea di arte moderna sino a pochi decenni fa sbilanciata sul formalismo francese e sulla dismissione del figurativo. In Italia la percezione della grandezza agglomerante di Alberto Savinio, fratello d’arte inviso alla critica di sinistra, come dire a tutta la critica del dopoguerra, è merito di Calasso. Idem per un altro pittore (e scrittore) a Calasso caro come lo svizzero Felix Vallotton che molti di noi hanno imparato ad amare facendo su e giù con le scale nell’ex stazione dei treni del d’Orsay a Parigi. Nel 1987 (due anni dopo l’inaugurazione del massimo museo ottocentesco francese) Adelphi proponeva un romanzo di Vallotton del 1907-08, La vita assassina (in originale: La vie meurtrière) dal titolo che, se tradotto fedelmente, si muove tra aggettivo e verbo (ove lo si accenti sulla seconda). Sono le avventure a rovescio, esiziali, funeste di Jacques Verdier, storico d’arte ventenne. Il volume è accompagnato da un pugno di tavole di Vallotton e da folgoranti controluce di Verdier (cioè dello stesso Vallotton): «nei moderni…non apprezzavo quelle tendenze sconnesse, e il mio bisogno di chiarezza si ribellò sovente alla vista di opere in cui la molteplicità delle ricerche mi appariva come un calcolato disordine» (e sono gli anni di Derain, di Picasso sintetico e del «Grande nudo» di Braque!).

Calasso ha reinventato Vallotton facendo entrare nel nostro mondo, per non farla più uscire, quella tela della «Bianca e nera» (scelta come copertina della Vita assassina) che, nel 1913, non è solo una lezione sull’«Olympia» di Manet; ma mette anche in crisi tutte le nostre povere nozioni di avanguardia, Cubismo ecc. Che la funzione Calasso fosse e continui a essere quella di far ricarburare l’intelligenza, lo si riscopre andando a leggere il risvolto di presentazione dell’autore del libro. Poche righe di dispettosa sciccheria: «Vallotton, spesso catalogato, insieme a Bonnard e Vuillard, sotto l’improvvida rubrica del post impressionismo, fu un pittore visionario, aspro, ironico, tanto più nuovo quanto più si mostrava incurante delle avanguardie». «Improvvido» vuol dire: incauto, sconsiderato, spropositato. C’è tutta un’altra storia dell’arte, antica moderna e contemporanea, da scrivere usando l’aggettivo improvvido come bianchetto.

Stefano Causa, 16 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

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