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Manifestanti cinesi con in mano fogli bianchi e copie del defunto quotidiano Apple Daily, mentre protestano per la libertà di stampa all’interno di un centro commerciale a Hong Kong

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Manifestanti cinesi con in mano fogli bianchi e copie del defunto quotidiano Apple Daily, mentre protestano per la libertà di stampa all’interno di un centro commerciale a Hong Kong

Il foglio bianco dei manifestanti cinesi è un silenzioso pianto per la libertà

Potente simbolo artistico e politico, riecheggia nella storia dell’arte da Robert Ryman a Kiri Dalena. Da fine novembre sta facendo il giro del mondo in segno di solidarietà con la Cina o per protesta in Iran e Russia

Lisa Movius

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Le proteste che alla fine dello scorso novembre sono dilagate in tutta la Cina continentale hanno avuto risonanza mondiale, condensata nella semplice immagine di un foglio di carta formato A4, bianco e intatto. Brandito dai manifestanti o appiccicato a cartelli stradali e statue, il foglio bianco è diventato un’icona visiva, silenzioso veicolo di trasmissione delle speranze e delle frustrazioni che si è costretti a soffocare e cancellare sotto un regime di repressione e censura.

«Il foglio bianco parla per chi non ha parole, asserisce un curatore cinese che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonimo. Credo che l’efficacia del foglio bianco risieda nella sua mancanza di significato esplicito, nel fatto che un foglio senza parole sia esso stesso un mezzo di resistenza e un simbolo riconoscibile».

Il foglio bianco «ha ovviamente un significato esistenziale», prosegue l’artista cinese Xiao Lu, la cui opera pionieristica del 1989, «Dialogue», è considerata la «scintilla che ha dato il via a Tienanmen». Da allora, pur risiedendo all’estero, Xiao Lu si è dedicata a produrre virulente performance e fotografie di stampo politico. L’utilizzo della carta bianca risale a decenni fa; più di recente è riemerso nelle mani dei russi che manifestavano contro la guerra. Il mese scorso, racconta l’artista, «dopo essere stati impugnati per la prima volta all’Istituto di Comunicazione di Nanchino in Cina, i fogli si sono diffusi a livello nazionale sino a raggiungere le proteste dei cinesi della diaspora in tutto il mondo».

Un bisogno fisiologico
«Penso che la rivoluzione dei fogli bianchi sia emersa quasi spontaneamente, come una necessità fisiologica, osserva il curatore, perché la libertà è un bisogno umano, non meno della respirazione». Nella carta bianca Xiao ravvisa echi della serie di monocromi bianchi senza titolo dipinti negli anni ’60 dal minimalista Robert Ryman. Nel 2016 l’artista e attivista filippina Kiri Dalena ha creato «Erased Slogans», una serie di fotografie di proteste degli anni Settanta dalle quali ha cancellato le parole presenti sui cartelli dei manifestanti. Durante le proteste queste candide opere astratte sono diventate virali su WeChat Moments, grazie ad alcuni esponenti del mondo dell’arte che attraverso queste immagini hanno segretamente indicato il loro sostegno alla causa.

Tra le figure note delle proteste anonime di novembre c’è un artista e istruttore che si fa chiamare Teacher Li. Dall’estero, Li condivide ora su Twitter video, immagini e storie della Cina. «Il foglio [bianco] è nato non da uno sguardo artistico, ma da una prospettiva molto pratica sulla libertà di parola, racconta. Com’è noto, in Cina non possiamo parlare, non possiamo esprimere nulla. Qualsiasi scritto radicale dev’essere trasformato e abbreviato, quindi, alla fine, la gente ha scelto la vuotezza. Spesso la pittura inizia con un foglio bianco, pertanto anche se non possiamo vederlo a occhio nudo, esiste in ogni dipinto e, un giorno, i caratteri invisibili sul foglio bianco diventeranno sempre più nitidi».

Le prime «proteste del foglio bianco» sono scoppiate dopo l’incendio che il 24 novembre scorso ha ucciso almeno dieci persone a Urumqi, città che come la maggior parte della regione dello Xinjiang (di cui è la capitale) per oltre 100 giorni era rimasta sotto stretta sorveglianza. È probabile che le operazioni di soccorso siano state ostacolate dalle transenne innalzate per il lockdown. La notte successiva a Urumqi migliaia di persone hanno protestato, appoggiate da manifestanti a Shanghai, Pechino e in altre decine di città. Mentre si piangeva il disastro di Urumqi e si chiedeva la fine delle restrizioni legate al Covid, le proteste si sono trasformate in richieste di libertà artistica e culturale e persino di dimissioni del Partito Comunista insieme al suo leader Xi Jinping.

Il 26 novembre centinaia di residenti a Shanghai, perlopiù giovani, si sono riuniti in Wulumuqi (Urumqi in mandarino) Road. Il quartiere è uno dei principali distretti artistici di Shanghai, con più di una decina di gallerie e organizzazioni non profit, oltre a un importante teatro e negozi di design stipati in pochi pittoreschi isolati. Fiori, candele e fogli bianchi sono stati posati sopra e intorno al cartello stradale di Wulumuqi, divenuto esso stesso un simbolo dopo che le autorità lo hanno rimosso la notte del 27, per poi rimpiazzarlo qualche ora più tardi a seguito dell’ondata di indignazione sul web. Rimossi dalla polizia dal loro luogo originario, i santuari commemorativi sono stati ricostruiti dai manifestanti su marciapiedi, panchine e bagni pubblici; scene simili si sono ripetute in tutto il Paese.

A sostegno dei manifestanti, l’arte si è riversata online. Un semplice disegno di mani che reggono un foglio bianco si è unito alle vignette politiche che mettevano alla gogna la rimozione dei cartelli stradali e l’abolizione improvvisa delle restrizioni per il Covid-19. Una statua era talmente ricoperta di fogli, alcuni bianchi, altri con l’ideogramma della «Libertà», da assomigliare a un dabai (i volontari che dall’inizio della pandemia aiutano le autorità cinesi, Ndr) in tenuta anticovid bianca.

Le proteste, in gran parte di studenti di origine cinese, sono continuate all’estero. Una studentessa della University of California di Los Angeles si è coperta di fogli bianchi mentre un’altra, vestita da dabai, si spruzzava addosso acqua rosso sangue fino a far gocciolare le lenzuola.

L’avanguardia è nell’immediatezza 
«La Cina di oggi è così complessa che per essere compresa dall’esterno richiede molte spiegazioni, e il linguaggio originale delle avanguardie potrebbe non essere abbastanza all’avanguardia in questo momento, afferma il curatore anonimo. Metodi relativamente diretti come il design e la performance si dimostrano pertanto più efficaci; l’immediatezza e l’efficacia sono quindi temporaneamente diventate il linguaggio dell’avanguardia».

Wulumuqi Road è ora intasata dalla polizia e da transenne malconce, chiaramente riciclate dal lockdown della scorsa primavera o dalla costruzione di strade. I volantini, strappati frettolosamente dai luoghi in cui erano stati affissi, mostrano sagome quadrate o blocchi bianchi, essi stessi una protesta involontaria. I fogli bianchi compaiono ora come segno di solidarietà con la Cina o per protesta in Iran e Russia.

Ai Weiwei, che in un primo momento si era mostrato poco incline alle proteste, poco prima di Natale è apparso a sorpresa allo Speakers’ Corner di Hyde Park a Londra indossando un cappello da Babbo Natale e vendendo fogli bianchi per raccogliere fondi per i rifugiati. Il curatore accoglie con favore questo gesto dell’artista cinese: «Ai è un pezzo grosso e qualsiasi cosa faccia fa rumore. L’attuale resistenza non è abbastanza rumorosa; qualsiasi amplificazione aiuta il mondo a riconoscere l’importanza di un futuro nel quale il popolo cinese possa perseguire una riforma politica».
 

«Untitled» (1965) di Robert Ryman

Una fotografia della serie «Erased Slogan» (2016) di Kiri Dalena

«Dialogue» (1989) di Xiao Lu

Lisa Movius, 04 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

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