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Da Montrasio Arte gli esordi del poliedrico artista americano
Dalla Land Art alla Body Art e alla performance, dalla Video Art all’Arte processuale, all’Arte pubblica, Dennis Oppenheim (Electric City, Stato di Washington, 1938-New York, 2011) ha praticato, da pioniere e spesso da caposcuola, i linguaggi artistici più innovativi del secolo scorso, presente sin dagli anni ’60 in mostre poi divenute «epocali», come «When Attitude Becomes Form», 1969, curata da Harald Szeemann per la Kunsthalle di Berna.
Il periodo tra gli anni ’60 e ’70, quando si dedicava all’arte ambientale e alla Body Art, ed era regolarmente presente in collettive o personali al MoMA e al Pompidou, alla Biennale di Venezia e alla documenta di Kassel, alla Tate e al Whitney, ha rappresentato la sua stagione più felice, ed è soprattutto su questi anni che si concentra la mostra «Dennis Oppenheim. Early works and installations», da Montrasio Arte dal 19 febbraio al 31 marzo.
Quindici le opere in mostra, tra le quali s’impongono «Branded Mountain» e «Cancelled Crop», 1969, entrambe fra i suoi lavori più significativi di quegli anni germinali: opere «dematerializzate», come scrisse la storica dell’arte Lucy Lippard, individuando nel continuo divenire la specificità della sua ricerca.
Del decennio successivo è «Theme for a Major Hit», 1974, con le marionette animate da un motore, mentre «Figure With A Future» e «Second Generation Image» sono degli anni ’80.
In contemporanea, per il Progetto Harlem Room, frutto della residenza per artisti promossa da Montrasio ad Harlem, New York, la galleria presenta «Sport Pills» di Beatrice Sala: disegni a china dai modi volutamente fumettistici, che esplorano il mondo del basket (ma anche il jazz e il cinema) degli anni ’60 attraverso alcuni dei loro protagonisti afroamericani, ponendo l’accento sulle rivendicazioni razziali.
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