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Maria Lai nel suo studio di Cardedu in Sardegna

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Maria Lai nel suo studio di Cardedu in Sardegna

Incandescenti come micce i fili di Maria Lai

Riscoperta da soli dieci anni, l’artista sarda verrà celebrata a settembre in una mostra a New York mentre il mercato dei suoi «libri cuciti» registra una crescente valorizzazione

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Alberto Fiz

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Inventata da un Dio distratto? Maria Lai sembra un personaggio dei suoi racconti, una figura mitologica, come le Janas della sua Sardegna, piccole fate capaci di volare. Avrebbe potuto sparire senza lasciare traccia, nascosta tra i monti dell’Ogliastra. E invece è diventata un riferimento per l’arte di oggi alla disperata ricerca di un’identità perduta. Da una decina d’anni tutti la evocano come fosse stata sempre presente. Quando scomparve il 16 aprile 2013, all’età di 94 anni, Maria Lai era nota a pochissimi al di fuori dell’isola, dove non è mancato chi si è approfittato della sua generosità. 

A dire il vero, nel 1978 era già stata Mirella Bentivoglio a invitarla alla Biennale di Venezia nella mostra «Materializzazioni del linguaggio» che ospitava solo opere di artiste donne, anticipando un filone di ricerca che si sarebbe consolidato solo negli ultimi anni, e non a caso nel 2022 Cecilia Alemani, nel corso della sua Biennale, le ha reso omaggio. Ma fu un episodio isolato rispetto a un sistema che non aveva ancora compreso il ruolo di un’artista in grado di sviluppare una ricerca autonoma con materiali anomali, apparentemente fragili, dove il semplice passaggio del filo unisce parole mai scritte, poesia e memoria. Per tessere i suoi diari dell’anima c’è voluto un tempo infinito, ma Maria Lai non aveva fretta e mentre molti suoi compagni di strada cercavano un posto al sole nelle capitali dell’arte, lei, dopo aver soggiornato a Roma, nel 1993 decise di trasferirsi definitivamente a Cardedu, un paesino dell’Ogliastra con meno di duemila abitanti nel quale aveva trascorso l’infanzia con gli zii materni. 

Del resto, è sempre stata la Sardegna con il suo paesaggio, la sua storia, le sue leggende, a ispirarla. Un amore per l’isola che ricorda quello di Gigi Riva, alias Rombo di Tuono, tra i grandi supereroi del nostro tempo balistico che aveva scelto la Sardegna come patria elettiva. Il calcio per Maria Lai ha sempre avuto un valore metaforico; a simboleggiare la componente relazionale era la squadra dove per vincere «la palla non va posseduta ma lanciata». Il suo gioco preferito però era quello di raccontare storie tenendo per mano l’ombra. Il successo non le è mai davvero interessato o almeno così pare. Un Dio distratto l’ha sempre protetta disinteressandosi dei suoi exploit sotto il martello del banditore. In compenso, la sua magnanimità le ha persino dato qualche pensiero di troppo e in molti avrebbero preferito che le 106 opere donate nel 2006 al Museo Stazione dell’Arte di Ulassai, suo paese nativo, rimanessero invece sul mercato. 

Maria Lai nel 1955. Foto: Marianne Sin-Pfältzer. © Ilisso Edizioni

Tra i primi a darle una vetrina commerciale è stato Diego Viapiana, giovane gallerista di belle speranze che per oltre un decennio aveva lavorato come assistente di Enzo Spadon alla Morone. Nel 2011 rilevò lo spazio espositivo milanese per fondare la Nuova Galleria Morone e due anni dopo presentò la prima personale di Maria Lai. Per Viapiana la scintilla era scattata nel 2008 in occasione di «Italics», la rassegna curata da Francesco Bonami a Palazzo Grassi di Venezia dove, accanto all’Arte povera e alle neoavanguardie, compariva un suo grande «Telaio» che oggi non costerebbe meno di 500mila euro: «Rimasi incantato dalla ricerca espressiva che quell’opera suscitava in me. Studiai e approfondii il suo percorso, indagai la sua ricerca artistica, sviscerai il suo pensiero», ha scritto Viapiana che conobbe Maria quando era già malata e da allora ha mantenuto le relazioni con la Fondazione. Il mercante espose le sue opere nel 2014 a miart proponendo i «Libri cuciti» degli anni ’80 intorno ai 20-25mila euro, circa sei volte al di sotto dei prezzi di oggi. 

All’incanto, tuttavia, i primi passaggi risalgono al 2015 quando una piccola casa d’asta romana, Minerva Auctions, vendette a 10mila euro «La vita è una bambina che gioca», piccola ceramica del 1999 proposta a 500-700 euro, dimostrando come ci fosse fermento in un mercato ancora privo di listini. Per trovare un’aggiudicazione significativa bisognerà attendere il 4 aprile 2019 quando da Christie’s a Milano «Autobiografia», un libro con filo e tessuto incorniciato, si è imposto per 32,5mila euro rispetto a una valutazione di 8-12mila. Quel prezzo ha dato fuoco alle polveri e per due anni è scoppiata la «Lai mania» con richieste che crescevano di mese in mese. Sino al 4 ottobre 2019 quando «Al volger della spola», un libro cucito del 1995, ha cambiato proprietario per 112mila euro durante l’«Italian Sale» organizzata da Christie’s a Londra.

Nello stesso tempo, i libri in tiratura avevano superato i 40mila euro: «Era una situazione assurda: le fotocopie costavano come gli originali», afferma Viapiana. Per scatenare l’euforia generale c’era stata nel frattempo la consacrazione di Maria Lai, che nel 2017 era presente con le sue opere sia alla Biennale di Venezia diretta da Christine Macel sia nelle due edizioni di Documenta (Atene e Kassel) curate da Adam Szymczyk. Se questo non fosse bastato, nel 2019 il MaXXI di Roma ha organizzato una sua mostra monografica, messa in scena da Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli. Tuttavia, com’è spesso accaduto di recente per gli artisti italiani (basti pensare a Gianfranco Baruchello, Vincenzo Agnetti, Paolo Scheggi o Carol Rama), il mercato è stato gestito con superficialità dando vita a una bolla speculativa che ha spaventato gli investitori. Così, il 29 settembre 2022 da Finarte a Milano un «Libro quaderno» è stato venduto in silenzio per appena 25mila euro. Anche le gallerie straniere hanno fatto marcia indietro e la newyorkese Marianne Boesky, che sembrava destinata a trattare il suo mercato, ha abbandonato il campo. 

«Telaio del mattino» (1968-71) di Maria Lai. Cortesia © Archivio Maria Lai di Siae 2022

Ora però, dopo quasi quattro anni d’instabilità, sembra che il 2024 sia l’anno del riscatto. C’è molta attesa, infatti, per la grande mostra prevista in settembre da Magazzino di New York, fortemente voluta dal suo fondatore Giorgio Spanu proveniente anche lui da un paesino della Sardegna, intimo amico di Maria Lai e della sua famiglia, nonché tra i suoi principali collezionisti con oltre 100 opere. In autunno vi sarà un approfondimento espositivo nel Palazzo de’ Rossi di Pistoia a cura di Francesco Tedeschi e nel 2025, anno del Giubileo, sarà Palazzo Braschi di Roma a ospitare una sua mostra. Sul fronte delle gallerie, dopo la rinuncia della Boesky, sembra che si sia fatta avanti un’altra americana, Angela Westwater, cofondatrice insieme a Gian Enzo Sperone della Sperone Westwater. In Italia, accanto alla Nuova Morone, il principale punto di riferimento è un altro spazio milanese, M77. Sarebbe stato proprio quest’ultimo a contribuire all’aggiudicazione record raggiunta il 15 ottobre 2023 da un «Libro» del 2009 venduto dallo Studio Borromeo di Senago per 225mila euro, prezzo che dovrà trovare conferma nelle prossime aste: «I valori eccessivi e le fiammate improvvise rischiano di fare male al mercato», spiega Maria Sofia Pisu, nipote dell’artista, responsabile dell’Archivio e Fondazione Maria Lai con sede legale negli spazi del Museo Diocesano di Lanusei e che presto avrà un riferimento anche a Milano. È questo l’unico ente autorizzato a rilasciare le autentiche e a registrare le opere di Maria Lai (al comitato scientifico partecipano tra gli altri Elena Pontiggia e Luigia Lonardelli), che con l’incremento dei prezzi hanno ingolosito i falsari. Ma bisogna fare molta attenzione anche ai tanti oggetti come abiti o coperte su cui Maria è intervenuta senza per questo considerarle opere d’arte. 

È quanto mai necessaria una collaborazione fattiva (finora si è andati avanti tra processi e carte bollate) tra l’Archivio e il Museo Stazione dell’Arte, le due strutture più importanti che in Sardegna si occupano di Maria Lai. Farsi la guerra rischia di essere un danno grave anche per il mercato: «L’opera d’arte ci viene incontro se facciamo silenzio», aveva affermato l’artista che per tutta la vita ha intessuto relazioni. Umane e spirituali. Un messaggio finora non assimilato dai suoi seguaci. 

«Il mare ha bisogno di fichi» (1996) di Maria Lai. Foto: Pierluigi Dessì / Confini visivi

Alberto Fiz, 28 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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