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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliLubin Baugin (1610-1663), «Natura morta con finanzieri, calice di vino rosso e pagnotta», olio su due tavole in legno di quercia, affiancate e non lamate, di cui una fessurata, con firma basso a destra «BAVGIN» è l’opera stimata tra le 200mila e le 300mila euro, e aggiudicata per 440mila, andata in asta lo scorso 16 agosto a Vichy, in Francia. Si tratta di un vero piccolo tesoro svelato dalla casa d’aste francese Vichy Enchère, dopo studi e ricerche di circa dieci mesi dalla scoperta a novembre 2024 fatta dal commissaire-priseur Étienne Laurent, che ha individuato il dipinto in un’eredità parigina: «Un’opera rara che arricchisce il corpus ancora limitato delle nature morte francesi del XVII secolo».
La Natura morta, genere floridissimo nella pittura fiamminga o italiana, restò sempre piuttosto rara nello scenario artistico francese, anche perché penalizzata dall'Académie Royale de Peinture et Sculpture (1648-1793) che la considerava «deuxième classe» e inferiore alla pittura religiosa e mitologica, al paesaggio e alla ritrattistica, tanto che furono assai pochi gli artisti (il più importante Alexandre-François Desportes, 1661-1743), che si dedicarono solo a quella produzione destinata al mero decoro d’interni privati (il che ne aumenta la rarità).
La storia di questo artista ha il carattere discreto e dimesso delle sue opere: Lubin Baugin, dopo secoli di oblio, è stato riscoperto nel 1934 quando due sue opere (e furono proprie due nature morte: quella con Bugia e quella con Scacchiera) furono esposte al Musée de l'Orangerie nella famosa mostra «Peintres de la Réalité en France au XVIIe siècle» (che riscoprì anche Georges de La Tour nonché ripresa nel 2006-07 dalla mostra-hommage «Orangerie, 1934: “Peintres de la Réalité”). Gli studi di Michel Faré, Baugin, Peintre de Natures Mortes (1956) e Le Grand Siècle de la Nature Morte en France (1974) hanno approfondito la conoscenza di quest’artista, portato alla ribalta nel 2002 dalle mostre «Lubin Baugin (1610-1663)» ad Orléans e Tolosa. Il dipinto sul rostro di Vichy Enchères è la quinta natura morta firmata da Baugin e si affianca quindi a quelle con «Coppa d’albicocche» dal 1967 al Musée des Beaux-Arts di Rennes; con «Bugia, libri e lettera» (Roma, Galleria Spada); con «Scacchiera, liuto e vaso di garofani» (dal 1935 al Louvre) e «Dessert de gaufrettes» (al Louvre dal 1954). Ne sussiste una sesta, di attribuzione incerta (in effetti piatta e non suggestiva né icastica) benché esibita nelle mostre del 2002: «Natura morta con coltello, piatto in peltro e pagnotta» (olio su tela, 49,5 42 cm, raccolta sconosciuta).
Tutte dipinte con ogni verosimiglianza agli esordi della sua attività, nei primi anni 1630, quando Bougin lasciò la natia Valle della Loira per stabilirsi a Parigi e, non avendo completato l’apprendistato presso un maestro parigino come imposto dai regolamenti e non potendo perciò lavorare a grandi scene sacre o profane all’interno della capitale, si dedicò ad un genere più accessibile. Lontano dalle fastose e rutilanti nature morte nordiche, Baugin esprime sobrietà ed equilibrio nelle sue composizioni dove ogni oggetto è immerso in una diffusa morbida luce azzurrata di silenziosa contemplazione della quotidianità e il «Dessert de gaufrettes» (ca1631) indica decise coincidenze col ritrovato dipinto: se cambiano i dolci (non più «financiers» di pasta di mandorle ma cialde), stesso è il piatto di peltro sul bordo del tavolo con l’ombra sulla tovaglia, identico il calice olandese posto a sinistra e, sempre a sinistra, analogo lo sfondo di muro angolare. Certo è che le Nature Morte di Baugin sono tutte composizioni di audace intensa essenzialità in cui già si anticipa quel lessico pittorico che, un secolo dopo, sarà proprio di Jean-Siméon Chardin (1699-1779).

Lubin Baugin, «Nature Morte à la Coupe d’Apricots». Courtesy Musée des Beaux Arts de Rennes
Nella formazione di Baugin hanno ruolo decisivo i viaggi a Roma e in Italia fra 1632 e 1640 che il pittore ventenne poté permettersi perché di famiglia agiata benché provinciale. In particolare, il soggiorno in Emilia lo segnò dell’influenza dei pittori padani (Correggio, Parmigianino, Raffaello e il contemporaneo Guido Reni), di cui fece tesoro al ritorno in Francia rivisitandone la seduzione nel successo del nuovo Baugin che si evolve e si afferma poi in quello stile di austero classicismo (che Jacques Thuillier, 1938-2011, curatore delle mostre del 2002, definirà l’«atticisme parisien») applicato ai generi pittorici più nobili e per una clientela altolocata e ufficiale: quadri mitologici e pale d'altare (fra cui numerose per le cappelle di Notre-Dame de Paris). Per quanto al culmine di notorietà e successo venga ammesso nel 1651 ai fasti dell'Académie Royale, la fine della sua carriera è segnata da uno stile ancor più essenziale e severo, perfino minimalista, ma sempre esemplare di quelle maestria tecnica e scenografia compositiva che gli son proprie, come conferma «Le Christ Mort Pleuré par Deux Anges» (1645-1650, olio su tela, 150 × 178,5 cm; Musée des Beaux Arts d’Orléans).
Alla sua morte, Lubin Baugin cade però rapidamente nell’oblio, penalizzato prima dal Classicismo trionfante alla fine del XVII secolo poi dal soprannome maligno di «Petit Guide», affibbiatogli ai primi del XVIII secolo per l’infelice connessione a Guido Reni (sorta di denigrazione postuma che l’ha seppellito per quasi due secoli), fino alla riscoperta a partire dagli anni 1930. Un’ingiusta damnatio memoriae perché Lubin Baugin resta fra i pittori francesi più affascinanti del Seicento: certo non scintillante come Simon Vouet né di eleganza sublime come Eustache Le Sueur, non indenne da errori intrappolati nel dilemma tra invenzione creativa e negligenza di pennello ma la sua diffusa, distillata, sottile luce cerulea toglie alle sue figure ogni terrena pesantezza, consegna creature ideali a un sogno di tenera soavità e, fra sguardi velati e sorrisi gravi e distanti, offre il rifugio d’un appagante finzione.

Lubin Baugin, «Le Christ Mort Pleuré par Deux Anges». Courtesy Musée des Beaux Arts d’Orléans
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