Arianna Antoniutti
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Gestire i prestiti delle opere e la contrattualistica, redigere pratiche ministeriali e documenti assicurativi, coordinare la movimentazione «in e out» per mostre, allestimenti permanenti e comodati. Sono solo alcune delle funzioni svolte dal registrar, una professione che incorpora competenze legali, di logistica, museologia, archivistica e restauro. Un mestiere vitale all’interno dei musei e delle istituzioni private, ma che in Italia presentava un vuoto normativo.
Ora, finalmente, il ritardo è stato colmato: il Ministero della Cultura ha riconosciuto la figura professionale del registrar, con il decreto 1112 del 2 luglio 2024 della Direzione Generale Organizzazione, nell’Area funzionari della Famiglia professionale tecnico specialistica per la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Così Rebecca Romere, dal 2021 presidente di Registrarte, Associazione Italiana Registrar di opere d’arte, commenta la notizia: «A 24 anni dalla nascita dell’associazione, questo è un momento davvero importante. È un segno positivo per il nostro settore perché il Ministero ha configurato, correttamente, la figura del registrar, con titoli di studio e requisiti di accesso (laurea magistrale in storia dell’arte o in archeologia, e titoli di studi equivalenti), mansioni e competenze. Nelle mansioni si circoscrivono le nostre attività, tra cui gestione delle pratiche di prestito, stesura del cronoprogramma di lavoro, supervisioni delle movimentazioni, eventuale accompagnamento delle opere in sede di mostra. È stato messo a fuoco il cuore della professione e vengono attribuite in capo alla nostra figura quelle responsabilità che finora erano distribuite fra conservatori, restauratori e storici dell’arte. È un significativo passo avanti per la gestione dei musei italiani».
La notizia è arrivata poco prima della XIII Conferenza internazionale dei registrar (Erc 2024), dal 6 all’8 novembre a Roma.
È stato un importante evento internazionale, che tornava a Roma dopo 22 anni, con 31 sponsor, quattro supporter, nonché un main partner come Gallerie d’Italia Intesa Sanpaolo. Abbiamo registrato 930 partecipanti, record di presenze dal 1998. L’Erc ha rappresentato un momento di confronto, dibattito e dialogo. Il programma era molto strutturato e ha affrontato una varietà di temi che rende conto della complessità del mestiere di registrar. La sostenibilità è stata, ovviamente, uno dei principali oggetti di discussione. La questione è: come rendere davvero il nostro settore meno impattante sull’ambiente? È necessario pensare al riuso dei materiali, alla condivisione dei trasporti, e approcciare sistemi, come il trasporto via mare, ancora molto complessi per ragioni assicurative. Ma si è parlato molto anche di tematiche forse meno pressanti, ma altrettanto determinanti, come il modo di affrontare la nostra professione in termini di codice etico. Ancora, si è discusso di digitalizzazione, della questione dei diritti d’autore legati all’immagine, e di nuove frontiere geografiche. Tradizionalmente il panorama delle attività espositive è legato a Europa, Stati Uniti, Cina, ora si va invece delineando una nuova geografia, in cui le grandi esposizioni si attivano nei Paesi del Medio Oriente, dell’Africa, in Brasile. Infine, si è parlato anche di nuove sensibilità, con problematiche relative ai resti umani nell’ambito dell’esposizione dei reperti archeologici. È un argomento nuovo, per l’Italia, che rispecchia, a livelli di museografia, l’andamento dei tempi.
La conferenza si rivolgeva ai professionisti del settore. Per la prima volta, quest’anno, si è aperto al pubblico dei non addetti ai lavori, con l’evento «A porte aperte: la professione del registrar e cosa dicono di noi», svoltosi l’8 novembre. Perché questa decisione?
Uno degli obiettivi statutari di Registrarte è la valorizzazione e divulgazione della nostra figura professionale: per questo abbiamo permesso di seguire l’evento, gratuitamente, al pubblico esterno, composto soprattutto da docenti e studenti universitari, ma anche dagli stakeholder economici che ruotano attorno al nostro mondo. Per i giovani è stata un’opportunità di approcciare una figura che può essere un possibile futuro impiego professionale. Abbiamo qui raccolto le testimonianze non solo dei registrar, ma anche di coloro con i quali ci interfacciamo per dare seguito ai progetti: architetto, assicuratore, trasportatore, curatore, ufficio stampa e direttore di museo.
La prossima conferenza si terrà a Berlino nel 2026. Quali sono in Italia le prospettive future e quali i nodi ancora sciogliere?
Siamo felici che un Paese del Nord Europa voglia ospitare il prossimo evento internazionale, e attendiamo di conoscere i temi che si vorranno mettere in luce. Sicuramente sarà ancora la sostenibilità a farla da padrone. Dal punto di vista della professione, sul settore nazionale, due saranno i fronti sui quali ci impegniamo, in futuro, a lavorare. Da una parte la formazione: ora che sono chiari, da parte del Ministero, requisiti di accesso e competenze richieste, dovremo andare ad affinare, ulteriormente, l’iter formativo, in modo che i giovani possano accedere agli strumenti necessari per svolgere la professione. L’altro punto riguarda il mercato del lavoro. Come associazione, non solo desideriamo favorire l’inserimento dei registrar all’interno di esso, ma vorremmo contribuire ad analizzarlo con maggiore puntualità, in particolare grazie agli esiti del progetto «Charter» della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali. Si tratta di un progetto, finanziato dal programma Erasmus+ dell’Unione europea, con l’obiettivo di definire una strategia comune per le professioni del patrimonio culturale, e disegnare una politica di lungo termine per la loro riconoscibilità e valorizzazione. Attraverso l’analisi del rapporto tra profili professionali, offerta formativa e occupazione, «Charter» ha evidenziato le carenze e le criticità del settore. Per l’Italia si è delineata una situazione in parte nebulosa, con zone grigie nel campo dei professionisti dei beni culturali. Questo perché spesso tali figure non rientrano nei parametri e nei dati Istat relativi al sistema produttivo. In questo modo si perde proprio la specificità produttiva del campo dei beni culturali, e soprattutto emerge un’immagine in parte distorta di quella che è la realtà delle cose. Grazie alla collaborazione con la Scuola del Patrimonio, che ci auguriamo di proseguire in modo propositivo, desideriamo offrire il nostro contributo affinché questi aspetti economici e amministrativi possano essere più netti e restituire, con maggiore chiarezza, anche il nostro settore.
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