Luana De Micco
Leggi i suoi articoliDal 13 febbraio al 26 maggio il Jeu de Paume rende omaggio a Tina Modotti, presentando la prima grande monografica parigina dedicata alla fotografa e attivista politica, nata a Udine nel 1896. Con il titolo «Tina Modotti. L’occhio della rivoluzione», la mostra, a cura di Isabel Tejeda, è stata prodotta in collaborazione con la Fundación Mapfre di Madrid. In poco meno di 240 scatti, documenti d’archivio e riviste d’epoca, il Jeu de Paume racconta, in un percorso cronologico e tematico, articolato in cinque sezioni, la vita movimentata e intensa di Modotti, emigrata a soli 16 anni negli Stati Uniti, a San Francisco.
Dopo una fugace carriera da attrice a Hollywood, determinante è stato per lei l’incontro, nel 1921, con il fotografo Edward Weston. Modotti diventa sua musa e amante e, nel 1923, si stabilisce con lui in Messico. È qui che si avvicina alla fotografia. La mostra racconta il rapporto con Weston, allestisce i ritratti che lui le fece, li mette a confronto con i primi scatti di lei. Modotti fa sua la «straight photography», la fotografia «pura» praticata da Weston, e in poco tempo, sin da «Rosas» (1924), si libera dai formalismi, trovando il suo stile personale. «Non cerco di produrre arte, ma fotografie oneste, senza ricorrere a trucchi né artifici», diceva.
Nel 1926, su commessa dell’antropologa Anita Brenner per il suo libro Idol behind altars uscito poi nel ’29, viaggia nelle diverse regioni del Messico per documentare gli oggetti e i riti del folklore locale. Lavora per Mexican Folkways, Horizonte, Forma, El Machete. Si impegna nel partito comunista messicano e diventa amica di Frida Kahlo e Diego Rivera. Con il suo obiettivo, indaga la realtà umana e denuncia la condizione sociale e del lavoro. È femminista, senza mai rivendicarsi tale. La mostra si chiude sul celebre scatto «Donna con bandiera» del 1927.
Dal 13 febbraio, come perfetto pendant alla monografica su Tina Modotti, il Jeu de Paume espone anche i lavori di Bertilla Bak, artista francese di Arras, classe 1983, che ha lavorato anche in America Latina. La mostra «Bertilla Bak. Abus de souffle», allestita fino al 12 maggio, riunisce una selezione di opere degli ultimi dieci anni, fotografie, installazioni, sculture, disegni, video, tra cui il più recente, che dà il titolo alla mostra, realizzato appositamente per Parigi. La mondializzazione e la questione delle disuguaglianze sono al centro del suo lavoro.
Nel 2015, in Francia, Bertilla Bak ha raccontato le storie di un gruppo di richiedenti asilo che vivevano in un centro di accoglienza a Pau. Nel 2016, ha indagato sull’industria del turismo etnico contemporaneo in Marocco e in Thailandia. Nel 2017 ha incontrato delle operaie marocchine che lavorano sgusciando a mano i gamberetti grigi per un’azienda olandese a Tetuán. Tra il 2018 e il 2022 si è interessata ai lustrascarpe di La Paz, in Bolivia, uomini e donne, con i volti coperti, per non farsi riconoscere. Nel 2022 ha ripreso di spalle i giovani minatori in India, Indonesia, Thailandia, Bolivia, Madagascar, per denunciare il lavoro minorile in questi Paesi.
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