Kabir Jhala
Leggi i suoi articoli«La pioggia è proprietà delle autorità israeliane e quindi ai palestinesi è vietato raccogliere l’acqua piovana per le esigenze domestiche o agricole», ha dichiarato Shumon Basar, direttore del programma di conferenze del Global Art Forum di Art Dubai, durante la conferenza stampa di apertura della fiera il 28 febbraio. Basar, che citava un ordine militare israeliano del 2009, verificato da Amnesty International e ripubblicato dalle Nazioni Unite, questa settimana guida una serie di tavole rotonde sull’impatto ecologico dell’occupazione israeliana della Palestina. Si tratta di uno dei numerosi gesti della 17ma edizione di Art Dubai (fino al 3 marzo) per mettere in evidenza la crisi in corso in Palestina, in particolare a Gaza, dove negli ultimi cinque mesi sono state uccise più di 30mila persone, secondo il Ministero della Salute di Gaza (MOH), dopo gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre in Israele, in cui sarebbero morte circa 1.200 persone e 253 sarebbero state prese in ostaggio.
«La Palestina fa parte del DNA di Art Dubai fin dal primo giorno», afferma il direttore artistico della fiera, Pablo del Val. I proprietari di Art Dubai, l’Art Dubai Group (ADG), doneranno il 25% dei proventi dei biglietti in prevendita della fiera alla Emirates Red Crescent, affiliata alla Croce Rossa, «per sostenere la sua campagna invernale a favore delle comunità vulnerabili della Regione», afferma un portavoce della fiera. L’impegno segue quello analogo assunto da ADG nell’ottobre 2023 per la sua fiera Downtown Design, «in risposta agli eventi devastanti che si stanno verificando a Gaza», secondo un comunicato. Nel 2022, la fiera ha donato, tramite l’Unicef, lo stesso importo delle vendite dei biglietti di Art Dubai prima della fiera agli ucraini colpiti dall’invasione russa.
Come nelle precedenti edizioni, due gallerie palestinesi partecipano all’Art Dubai di quest’anno, che torna nelle lussuose sale del complesso turistico Madinat Jumeirah. La galleria Zawyeh, che ha spazi a Ramallah, in Cisgiordania, e a Dubai, ha portato le opere di tre artisti palestinesi. Tra queste, le stampe dai colori vivaci di angurie, simbolo ampiamente riconosciuto e diffuso della resistenza palestinese, dell’artista di Ramallah Khaled Hourani. Ogni stampa è in vendita al prezzo di 2.800 dollari; alla fine del secondo giorno VIP (29 febbraio) ne erano state vendute sette. Un altro corpo di opere nello stand di Zawyeh, che affronta direttamente la crisi, è costituito da un gruppo di nuove stampe dell’artista Saher Nassar, nato a Gaza e residente a Dubai. Si tratta di rappresentazioni a fumetti di scene sconvolgenti, come la terra innaffiata di sangue e una piccola figura umana che emerge da un uovo, circondata da un cartello di avvertimento. Quest’ultimo fa riferimento alla «distruzione della gioventù palestinese da parte di Israele», afferma il direttore della galleria, Ziad Anani (il MOH stima che al 25 febbraio circa 12.500 bambini siano stati uccisi a Gaza durante la guerra in corso tra Israele e Hamas).
Anche la casa della famiglia dell’artista a Gaza è stata distrutta durante i recenti bombardamenti, aggiunge Anani che fa notare come spedire le opere in Palestina sia estremamente difficile: «Le forze israeliane spesso danneggiano le opere intenzionalmente o semplicemente le buttano via, non si sa se si riavranno intatte». Per Samar Martha, proprietaria della Gallery One, anch’essa di Ramallah, raggiungere la fiera dalla Palestina è stato «un viaggio infernale durato 24 ore, con molteplici soste ai checkpoint». Ha trasportato la maggior parte delle opere esposte nello stand nel suo bagaglio a mano e le ha incorniciate a Dubai, poiché «non poteva spedire nulla fuori dalla Palestina». La sua galleria espone una scultura in vetro, video e stampe di Manal Mahamid, tra cui un’opera serigrafica del 2024 che raffigura 48 cactus del deserto circondati dai nomi dei villaggi distrutti nel 1948, quando circa 750mila palestinesi fuggirono o furono espulsi dalle loro case dalle forze israeliane, un evento noto come Nakba (in arabo «disastro»).
La galleria ha venduto opere dello stand a collezionisti libanesi, britannici ed emiratini, dice Martha: un’ancora di salvezza vitale, visto che «gli acquisti d’arte a Ramallah si sono completamente fermati a causa della guerra». Si chiede se avrebbe potuto partecipare con uno stand così esplicitamente incentrato sulle lotte palestinesi in importanti fiere d’arte del Nord del mondo. «Sarebbe stato diverso ad Art Basel o a Frieze». Alla relativa facilità di sostenere le cause palestinesi nella regione del Golfo fa eco il dealer Sunny Rahbar, direttore di The Third Line a Dubai. «In questo caso, per le gallerie qui è più facile stare dalla parte giusta della storia», afferma. Nello stand c’è l’autoritratto «In the eyes of our present we hear Palestine» (2019) del defunto fotografo palestinese-kuwaitiano Tarek Al-Ghoussein, in cui indossa una kefiah, un copricapo arabo che è stato associato ai movimenti di resistenza palestinesi.
Numerose altre gallerie non palestinesi fanno in modo che la guerra a Gaza resti un tema permanente nella fiera. La Athr di Gedda presenta una personale dell’artista saudita-palestinese Ayman Daydban, che espone oggetti trovati, come riviste e involucri di gomme da masticare, e grandi fogli di metallo, tutti piegati e poi parzialmente dispiegati in modo che le pieghe corrispondano alle linee della bandiera palestinese. Le opere in metallo hanno un prezzo compreso tra 12mila e 15.500 dollari. Nika Project Space, una galleria di recente apertura a Dubai, ha presentato una grande installazione di cucina in ceramica dell’artista palestinese Mirna Bamieh che fa riferimento all’occupazione e ai suoi effetti disastrosi sul cibo e sull’agricoltura locali. Il prezzo è di 150mila euro. La galleria Vadehra di Nuova Delhi espone due dipinti dell’artista indiano Praneet Soi, con sede ad Amsterdam, che contrappongono la veduta di un parco giochi a quella di un paesaggio di Gaza.
Uno dei riferimenti più espliciti alla guerra si trova nello stand di Chemould Prescott Road, da Mumbai, che ha portato le opere tessili dell’artista palestinese Dana Awartani, una nuova firma della galleria. Per la serie in fieri «Let Me Mend Your Broken Bones», l’artista rammenda una seta fragile e diafana e la stende su un telaio. Ogni opera si riferisce a un sito storico di Gaza che è stato distrutto dalle «forze di occupazione israeliane», come spiegano i testi appesi accanto a ogni pezzo e che nominano i siti danneggiati. Due di queste opere, ciascuna del prezzo di 21mila dollari, sono state vendute a collezionisti emiratini. Shireen Gandhy, direttrice della galleria, afferma che intende portare queste opere ad Art Basel nel corso dell’anno («vediamo cosa hanno da dire»). La forte presenza di temi palestinesi, sia del passato che del presente, in tutta la fiera è notevole in un momento in cui le istituzioni artistiche e gli spazi commerciali negli Stati Uniti, in Europa e in altri Paesi stanno affrontando una crescente censura nell’affrontare la guerra a Gaza.
Il direttore della galleria Tabari Art Space di Dubai, che espone due dipinti di Tagreed Darghouth, del valore di 35mila dollari, raffiguranti alberi di ulivo abbattuti dalle forze israeliane su terreni agricoli palestinesi, afferma che la galleria è stata costretta a mettere in risalto le voci palestinesi dopo che «le mostre di artisti palestinesi hanno iniziato a essere cancellate all’estero», in seguito all’attacco del 7 ottobre. La volontà e la capacità di Art Dubai di promuovere le voci palestinesi si inserisce in una strategia che la fiera ha perseguito fin dalla sua nascita: fungere da piattaforma per l’arte proveniente da aree geografiche sottorappresentate. Da quando è entrato a far parte della fiera come direttore artistico nove anni fa, Del Val dice di aver spinto per spostare l’attenzione dall’Occidente, per «riflettere naturalmente la diversità di Dubai». Tuttavia, l’attenzione dell’Occidente per il Golfo è importante per gli affari e quest’anno la fiera ha previsto un numero di visitatori di alto profilo, più elevato che mai, grazie alla ricchezza di eventi artistici che si sono svolti nella regione la scorsa settimana.
Tra questi, l’apertura della Biennale di Diriyah e di Desert X Al Ula, entrambe in Arabia Saudita, la Biennale di Design di Doha e summut culturali ad Abu Dhabi e Sharjah. «Il Golfo si sente come la Cina nei primi anni 2000», afferma Alexandra Fain, direttrice della fiera Asia Now di Parigi. «Qui sta succedendo di tutto». Tuttavia, questo fermento non si è necessariamente tradotto in vendite rapide alla fiera, con molti galleristi che hanno dichiarato che gli affari finora sono stati lenti, anche se non privi di promesse. Tra le vendite più importanti registrate nei due giorni VIP, la grande scultura 2022 di El Anatsui alla Efie Gallery (Dubai), aggiudicata a un collezionista di Dubai per 600mila dollari, e una scultura di Lynda Benglis da Thomas Brambilla (Bergamo) per 160mila euro a un collezionista libanese. Nel frattempo, la sezione Digital della fiera, che ritorna per la terza volta, ha visto la vendita dell’opera luminosa «10005 v1» di Krista Kim per 12,5ETH (42.600 dollari).
La maggior parte dei dealer interpellati da «The Art Newspaper», i cui programmi sono fortemente incentrati sulla Palestina, ha dichiarato che le vendite sono aumentate negli ultimi mesi, poiché i collezionisti cercano un modo per sostenere gli artisti più colpiti dalla crisi. «La gente non sa cosa fare in questo momento», dice Anani. «Questo è un modo per fare qualcosa». Parlando ad Art Dubai, l’accademica Reema Salha Fadda ha osservato che far circolare le immagini della devastazione sul territorio è stata a lungo una strategia chiave della lotta palestinese contro l’occupazione: «il mondo dell’arte tende a dare un’immagine ottimistica delle cose. Ma mostrare queste immagini, “sedersi” scomodamente vicino a esse, significa resistenza».
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