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Olga Scotto di Vettimo
Leggi i suoi articoli«Fuori la primavera, ma anche il morbo. La peste è solo una parola che passa per bocca di tutti. Per qualcuno, invece, scivola rapida in un gorgo, fino ai polmoni, come un oceano che si riversa in un coccio. Sembra che ai malati non ci sia il tempo per riservare un ultimo sorriso. La maschera di protezione è una soglia invalicabile, che nega la grazia ad ogni sguardo che affoga.
Che cosa cambierà dopo che questa emergenza avrà fatto trattenere il respiro al mondo e respirare la terra? Tutto come prima? Non credo. Carl G. Jung scriveva: “Gli Dei sono diventati malattie” e viene da pensare che siano tornati giusto per ammonirci, per normare le cose quando non siamo più in grado di farlo. In quanto sintomi, andrebbero ascoltati, potrebbero rivelarci delle sorprese. Quando tutto sembrava perduto, l’umanità sembrava correre verso il precipizio e niente sembrava potesse fermarla, ecco che all’improvviso, un’infezione blocca tutto, ci arresta, letteralmente, nelle nostre case, ci fa riflettere, o almeno, ci restituisce il tempo di farlo.
Il tempo, fosse questo il dono? Il tempo che abbiamo così accelerato al punto da avere fatto ammalare perfino lo spazio? Ora, in questi giorni di quarantena prolungata, confinati nelle nostre case, ci viene restituito nella sua originaria funzione: quella di scandire il ritmo lento della nostra biologia. Ora, quando tutto questo sarà passato e l’emergenza sarà rientrata, il mondo dell’arte si troverà di fronte la scelta: affrontare la crisi, cioè cambiare radicalmente, cogliendo i sintomi di malessere di un intero sistema, o reiterare i consueti comportamenti, navigando a vista e fare da specchio al mondo piuttosto che generarlo.
A riguardo, mi viene da pensare al nostro Eduardo de Filippo quando gli parlavano della crisi del teatro e lui rispondeva piccato: “No, non c’è crisi del teatro, c’è confusione. Perché quando c’è la crisi non mangia nessuno, quando c’è confusione, mangiano tutti”. E qui sta il problema. Speriamo bene».
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