Franco Fanelli
Leggi i suoi articoli«In alcuni casi la mutazione, o la combinazione di più mutazioni, possono conferire alla variante di un virus una maggiore aggressività e velocità di diffusione». Questo dice la scienza. La cronaca dice che, con Covid-19 o senza, il 2021 è l’anno di nascita di una specie mutante o, se si preferisce, di una variante della figura del gallerista. Fa un po’ paura, come le creature ibride dei film della serie «Cremaster» di Matthew Barney e ha un’aspirazione dichiarata: maturare, attraverso questa mutazione, una maggiore resistenza alle crisi di mercato e al suo più temibile vaccino: le aste.
Luana De Micco da Parigi e Federico Florian da New York raccontano, attraverso le parole dei mutanti, di che cosa stiamo parlando. L’apertura di Emmanuel Perrotin al mercato secondario, in società con due operatori di consolidata esperienza e influenza (Tom-David Bastok e Dylan Lessel) e il sodalizio tra le gallerie Lévy Gorvy e Salon 94 hanno in comune la stessa strategia.
Inglobare ed esercitare più funzioni, dalla compravendita all’art consulting, dilatare al massimo il proprio ambito d’intervento trattando più artisti possibili e raggiungendo, fisicamente o da remoto, una clientela planetaria offrendo un prodotto «chiavi in mano», significa cavalcare da spietati opportunisti (o da lungimiranti imprenditori) una fase di evidente transizione.
Nel momento in cui la crisi sanitaria ha accelerato quanto in realtà era già in atto, cioè la crisi di un sistema fieristico saturo e saturante, la galleria del futuro, resistente come lo è sempre un ibrido, si sostituisce (in parte) a ciò che una fiera offre, cioè varietà e ubiquità geografica dell’offerta.
Questo, anche, dando una spallata al già vacillante istituto dell’esclusiva, esercitato con sempre maggiore difficoltà dalle gallerie sugli artisti. E gli artisti, come i calciatori dopo la famosa sentenza Bosman, non aspettano altro che questo tipo di liberalizzazione del mercato.
E le case d’asta? Dopo avere esercitato l’attività un tempo esclusiva delle gallerie con le private sales, ora si vedono ripagate con la stessa moneta, da gallerie che offriranno i loro stessi servizi e garanzie. Mettiamola così: almeno sotto il profilo etimologico, le gallerie ibride non tradiranno sé stesse. «Galleria» è infatti, nel linguaggio architettonico, il tramite che mette in comunicazione, unendoli, diversi settori del palazzo o diversi spazi urbani.
Sotto tutti gli altri profili, se le fiere dovranno seriamente riconsiderare il potere sinora esercitato sulle gallerie e, visto che ci siamo, anche certe tariffe, chi ci rimetterà saranno le gallerie più piccole e, come si dice, «di tendenza», già indebolite dalla crisi e destinate a essere vivai (o crisalidi) di carne fresca. Da esporre, quella sì, in qualche fiera, chic e ostinatamente costosa. Tutto ciò, ripetiamo, stava prendendo forma ben prima dell’epidemia.
Per questo è perfetto il paradosso del comico Alessandro Bergonzoni: «Tutto tornerà... come dopo».
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