Nicolas Ballario
Leggi i suoi articoli«Back to the Future», quest’anno curata da Lorenzo Giusti e Mouna Mekouar, è la più connotante sezione di Artissima e probabilmente anche la più imitata dalle altre fiere nel mondo. Un format che riscopre autori in una chiave nuova, figure di varie generazioni non ancora scoperte, dimenticate o valorizzate nel tempo su certi aspetti che, inevitabilmente, ne escludevano altri. A poche settimane dall’apertura di Artissima abbiamo incontrato Lorenzo Giusti per fare quattro chiacchiere con lui proprio su «Back to the Future», che quest’anno indagherà la dimensione del presente come tempo dilatato.
Da quanto sei coinvolto in «Back to the Future»?
Sono tre anni: ho fatto la prima fisica, la seconda digitale e questa ibrida.
La piattaforma digitale di Artissima XYZ, ideata dalla direttrice della Fiera Ilaria Bonacossa, quindi verrà riutilizzata, forte del fatto di essere tra le poche ad aver funzionato l’anno scorso.
Ha funzionato perché oltre a far vedere l’opera si porta dietro una serie di documentazioni e materiali per approfondire il lavoro di un artista, rendendo più interattiva e interessante la navigazione da parte dell’utente. E sì, verrà riutilizzata per la parte digitale.
E per quella fisica?
Abbiamo chiesto alle gallerie di presentare per ognuno degli artisti coinvolti un’opera storica, quindi un’opera del XX secolo, e un’opera recente, possibilmente del 2020. Abbiamo idealmente intitolato la sezione 20/20. Venti su venti insomma, che poi per i francesi è come dire 30 e lode… Non sarà più una sezione con stand di gallerie come nel passato, ma una mostra all’interno di un unico grande stand a cui le gallerie partecipano, presentando appunto due lavori per ognuno dei dieci artisti che abbiamo coinvolto.
Il 2020 rimane centrale. In che modo? Come spartiacque?
Diciamo che è un modo di dire che il nuovo millennio è iniziato con vent’anni di ritardo, come se il primo ventennio del 2000 fosse la coda lunga del Novecento. Abbiamo trovato interessante capire cosa gli artisti avessero creato attorno a questo anno e quindi per una volta abbiamo deciso di coinvolgere artisti in attività. Due, purtroppo, sono scomparsi nel 2021.
Cosa è che fa inciampare certi artisti nella storia e non li fa emergere oppure, anche con un certo successo alle spalle, li fa dimenticare?
Le ragioni possono essere diverse, però ce n’è una che sicuramente ricorre e che tutti quanti possiamo facilmente verificare. La peculiarità degli artisti è quella di adottare un linguaggio e farlo proprio, o addirittura quella di inventarne uno. Quindi ecco arrivare nuove forme, che poi si trasformano in nuove pratiche, poi in nuove mode, ma l’arte contemporanea ha sempre sete di novità e quindi un linguaggio, per quanto sedimentato, a un certo punto deve lasciare il posto ad altri e sembra appassire. Però succede che, magari trenta o quarant’anni dopo questo venga nuovamente guardato dalle nuove generazioni e allora eccolo rinascere. Eccolo diventare un «nuovo vecchio linguaggio».
Tu lo hai fatto nei musei, per fare alcuni esempi, con Maria Lai, Birgit Jürgenssen e recentemente con Regina. Che differenza c’è tra farlo nelle istituzioni e farlo in un luogo che è anche e soprattutto di mercato, come la fiera?
Per una fiera si può fare in maniera più libera. Puoi permetterti ancora di più di tentare una via, di aprire una braccia. Quando lo fai per un museo o per un’istituzione lo devi fare nella piena consapevolezza del percorso dell’artista, sviscerandone ogni aspetto nella collocazione storica e ponendolo in una prospettiva orizzontale. Mentre quando lo fai in fiera, la prospettiva può essere anche un po’ più verticale. Insomma si può azzardare una scommessa, che spesso con «Back to the future» viene vinta, perché molti degli autori trattati sono poi stati captati da curatori di istituzioni che hanno avviato un percorso di sostegno per quegli artisti. E confesso che gran parte degli autori su cui ho lavorato in maniera strutturata, io stesso li ho scoperti all’interno delle fiere.
Artissima è il posto giusto?
Lo è. Lo è perché è stata la prima a farlo. Fu Francesco Manacorda, quando era direttore, a inventarsi questa sezione e subito attirò l’interesse di tutti.
Più degli italiani o anche del pubblico internazionale?
In egual misura. Artissima stava curando moltissimo il proprio posizionamento tra le fiere internazionali, aumentando il numero delle presenze straniere e puntando molto sull’innovazione, sulle nuove generazioni come è logico che faccia una fiera di contemporaneo. In questo contesto una sezione come «Back to the future», chiamiamola storicizzata, ha avuto terreno fertile per distinguersi e raccogliere su di sé tutto l’interesse.
E questo ha permesso anche di allargare il parterre delle gallerie coinvolte, immagino.
Certo. Manacorda durante un talk che abbiamo fatto insieme un paio di anni fa, ha raccontato che c’erano gallerie cittadine che rivendicavano, correttamente, il diritto di partecipare a questa fiera. Però erano gallerie storiche, che presentavano artisti di lungo corso: ecco allora l’intuizione di ribaltare la situazione, trasformando in un punto di forza quello che era un possibile elemento di debolezza. Mettendo apparentemente in crisi il format di Artissima, ha invece creato la più forte spinta propulsiva che la fiera ha avuto da quel momento in avanti.
BACK TO THE FUTURE
A cura di Lorenzo Giusti e Mouna Mekouar
Rebecca Allen, Arcade London, Brussels – Dove Bradshaw, Thomas Rehbein Cologne – Sylvano Bussotti, Clivio Parma, Milano – Waltércio Caldas, Almeida E Dale Sao Paulo – Rafik El Kamel, Selma Feriani Tunis, London – Joseph Grigely, Air De Paris Paris – Emanuela Marassi, Gandy Bratislava – Markus Oehlen, Karma International Zurich – Julião Sarmento, Giorgio Persano Torino – Ernest T., Semiose Paris
Speciale Artissima 2021
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