Luca Beatrice
Leggi i suoi articoliFino all’11 febbraio in Triennale a Milano c’è una curiosa mostra dal titolo «Pittura italiana oggi». Per me è un’operazione benemerita l’esposizione di 120 opere per 120 pittori perché, a differenza della Biennale di Venezia dove la presenza dell’arte del nostro Paese è ridotta al lumicino, disegna, anzi dipinge, uno scenario vivace e divertente. Eppure, su questa mostra curata dal giovane Damiano Gullì, ho sentito riversarsi parecchie e ingiuste critiche. Qualcuno tra i presenti lamentava un eccessivo numero di artisti scelti; e io pronto a far notare che se ne fossero stati invitati solo una trentina, probabilmente il primo a essere escluso sarebbe stato proprio colui che aveva da lamentarsi.
Ad altri non è piaciuto l’allestimento di Italo Rota, eccessivamente standistico e labirintico: ma provaci tu a farci stare 120 quadri senza usare le pareti perimetrali, e poi, come mi disse Massimo Kaufmann tanti anni fa, tu giudichi una mostra dal pavimento della galleria? Certo, il catalogo si poteva fare meglio, non tutti i critici coinvolti amano e capiscono la pittura, allora perché farli scrivere?
Però l’impressione resta positiva, intanto perché sono stati scelti diversi miei amici degli anni ’90 con cui abbiamo cominciato insieme e anche se poi siamo stati distanti è pur sempre una bella soddisfazione. E infine perché tra questi giovani, nati negli anni ’90 e anche più tardi, ce ne sono diversi su cui sono pronto a scommettere, mi comprerei un’opera, insomma mi piacciono davvero. In attesa di piombare nella noia monologante del prossimo Padiglione Italia, la pittura italiana alla Triennale si è rivelata una salutare boccata d’aria fresca.
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