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«Pineta a Bosco di Corniglio» (1958) di Umberto Lilloni. Cortesia della Galleria Massimo Minini. Foto Petrò Gilberti

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«Pineta a Bosco di Corniglio» (1958) di Umberto Lilloni. Cortesia della Galleria Massimo Minini. Foto Petrò Gilberti

Minini «spolvera» i Lilloni

All’hotel Principi di Piemonte una mostra ideata dallo storico gallerista dedicata al pittore lombardo amato da Persico

Monica Trigona

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Il Salone delle Feste dello storico hotel Principi di Piemonte ospita per la quarta volta, grazie al rinnovato dialogo tra Artissima e UNA Esperienze, l’appuntamento con l’arte contemporanea che quest’anno è dedicato all’artista lombardo Umberto Lilloni (Milano, 1898-1980). «Perché non Lilloni?», mostra curata dal gallerista Massimo Minini e visitabile durante i giorni della fiera, raduna una ventina di dipinti tra paesaggi, ritratti, marine, scorci urbani e nature morte.

L’artista figurativo, esponente di quell’espressività dai toni luminosi, in cui il colore predominava sui valori volumetrici, che negli anni Trenta era stata identificata e sostenuta dal critico Edoardo Persico, torna sotto le luci della ribalta inaspettatamente, come suggerisce lo stesso, ammiccante, titolo della personale. Lilloni è figlio di quel periodo, pressoché un ventennio (1920-’40), durante il quale l’Italia, isolata dalla sfera culturale europea, si crogiolava in un’estetica ufficiale accademica e gonfia di retorica (seppur alcuni di quegli autori godevano di reali capacità).

Lilloni, che aveva abbandonato la magniloquenza della sua primissima stagione, si era distinto per la sua tipica pittura limpida, «leggera», quasi evanescente, talora dagli accenti fiabeschi, dominata da «un sentimento di provvisorietà, di labilità, che si potrebbe definire neo-romantico quanto quello novecentista era stato classicheggiante o, se vogliamo, neo-classico» per dirla con Elena Pontiggia. Suscita una certa curiosità la scelta di quest’artista (sicuramente non ancora unanimamente riconosciuto dal grande pubblico e non uno di quei nomi di cui normalmente «si sente parlare») da parte di una galleria, quella bresciana di Minini che, negli anni ha promosso esponenti dell’Arte concettuale e dell’Arte povera e noti autori della scena contemporanea (Anish Kapoor, Alberto Garutti, Icaro, Ryan Mendoza, Stefano Arienti, Maurizio Cattelan, Vanessa Beecroft ecc.).

A tal proposito ad Artissima abbiamo interpellato proprio Massimo Minini che presenzia nel suo stand salutando amabilmente amici e collezionisti che lo vanno a trovare. Dal nostro scambio di battute è emersa una semplice quanto logica verità: alla base di certe scelte, talvolta, non c’è nient’altro che un sincero apprezzamento per la serietà e l’abilità tecnica con cui l’artista ha condotto la propria ricerca.

Massimo Minini, sembra scontato chiederglielo, d’altronde il titolo della personale sarebbe già una risposta, ma…perché Lilloni?
Lilloni, pittore tradizionale a suo modo, «non ce l’ha fatta», ma, la storia ci insegna che i venti possono cambiare. A riabilitare la figura di Caravaggio è stato Roberto Longhi e anche Piero della Francesca è stato riscoperto grazie all’opera di Bernard Berenson e di Longhi. Quando un artista esprime lo spirito del suo tempo «ce la fa», altrimenti se procede per la sua strada, non assimilandosi necessariamente alle tematiche e alle urgenze contingenti, viene ignorato.

Cosa importa veramente allora?
Giorgio Morandi è diventato famoso dipingendo bottiglie, Lilloni invece è identificato come l’artista dei boschi. Non è importante cosa si dipinge ma fare bene. Sono la bravura dell’artista e la qualità della sua pittura che contano.

Come ha messo in piedi il percorso espositivo?
Sono ventidue lavori di mia proprietà che coprono un ampio arco di produzione di Lilloni, dal 1928 al 1975. Non ci sono solo i boschi ma ritratti, barche, scorci urbani, vasi di fiori anche due quadri di altri autori: uno di Nino Aimone e l’altro di Giovanni Barbisan, che si inseriscono bene nel percorso, entrambe nature morte. Quando ho cercato di organizzare questa mostra non avevo dei veri punti di riferimento. Poi il nipote di Lilloni mi ha contattato simpatizzando con l’idea.

E di Artissima cosa pensa?
Questo, è evidente, è il regno della contemporaneità. Non è una fiera potentissima ma la qualità è indubbiamente molto alta.

«Pineta a Bosco di Corniglio» (1958) di Umberto Lilloni. Cortesia della Galleria Massimo Minini. Foto Petrò Gilberti

«Maria» (1927) di Umberto Lilloni. Cortesia della Galleria Massimo Minini. Foto Petrò Gilberti

Monica Trigona, 04 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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Minini «spolvera» i Lilloni | Monica Trigona

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