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Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliIl viaggio per salire al Castello è in corso. Nella fortezza cinquecentesca dell’Aquila il Museo Nazionale d’Abruzzo MuNDA sarà come un laboratorio aperto: dovrà essere il più inclusivo possibile, per tutti, compreso chi ha difficoltà fisiche o psichiche, il mammut recupererà il ruolo da protagonista amato e ora invisibile, ci sarà il gonfalone, la collezione coprirà di nuovo l’arco temporale dalla preistoria al Novecento, com’era fino al terremoto del 6 aprile 2009.
Sono, in estrema sintesi, i programmi messi in atto da Maria Grazia Filetici, direttrice del museo dall’autunno scorso, quando il MuNDA ha acquisito l’autonomia. In queste colonne l’architetto parla del prossimo futuro del MuNDA, che sintetizza con un titolo: sarà un «Museo 2», inteso come fase «due». Il processo in corso parte proprio dalla frattura del sisma, una ferita dacché il poderoso Castello spagnolo è chiuso da dodici anni, e dal dicembre 2015 il meglio della raccolta è nell’ex Mattatoio, ristrutturato a Borgo Rivera.
Architetto nata a Napoli nel 1956, entrata nel 1985 nel Ministero dei Beni culturali, oggi della Cultura (MiC), Maria Grazia Filetici si dice abituata alle sfide complesse: ha lavorato molto al Grande Progetto Pompei occupandosi, tra l’altro, dell’accessibilità a tutti; a Roma ha realizzato progetti e interventi al Foro romano, al Palatino, alle Domus del Celio, nel 2017 ha vinto il Premio Europa Nostra Award per il restauro della Piramide di Caio Cestio. È una funzionaria che coniuga ricerca e lavoro sul campo.
Quali sono i momenti salienti della collezione del MuNDA?
La collezione tutta ha una grande potenza, perché rappresenta il collegamento tra la grandezza di un territorio che è stato anche molto importante dal punto di vista dei collegamenti internazionali, delle case reali e delle grandi famiglie. Questo è incarnato dall’opera dei maestri che testimoniano una qualità artistica con tratti e collegamenti con scuole ed esperienze internazionali.
Una peculiarità della raccolta?
L’enorme continuità temporale che va sostanzialmente dal mondo antico a tutto il Novecento, con un focus archeologico importante della Collezione epigrafica.
Oltre al rilievo romano con corteo funebre, tra i reperti archeologici incuriosisce il serpente, il coperchio cinerario a forma di rettile attorcigliato databile tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.
Sì, c’è il serpente, però voglio ricordare la Collezione epigrafica. Come ha evidenziato con altri Adriano La Regina, grande studioso di Pietrabbondante, in territorio sannita nell’odierno Molise, la collezione presenta un interesse archeologico enorme sia dal punto di vista scientifico sia come legame con il territorio.
Per l’intera raccolta cosa intende fare?
È stato siglato un accordo dal Direttore Generale Musei del Ministero Massimo Osanna, dal Segretario Regionale Abruzzo Nicola Macrì e dalla Soprintendenza dell’Aquila e il Cratere con Antonio Di Stefano per le aree destinate al museo e agli istituti del Ministero della Cultura nel Castello cinquecentesco. Tale accordo è importante nell’ambito della sinergia che è in corso per il progressivo ritorno al Castello e per il restauro che sta restituendo il monumento dopo i gravi danni del terremoto. S’inizierà con l’allestimento della prima sezione, che sarà realizzata alla conclusione del primo lotto di restauro ormai prossimo. Sicuramente apriranno il Mammuthus e la sezione di paleontologia arricchita dagli importanti studi recenti e i camminamenti di difesa, le carceri, che rappresentano un unicum sia dal punto di vista dell’architettura militare rinascimentale sia per le storie che, all’interno, nel tempo, sono state vissute. Saranno allestiti in una veste nuova grazie soprattutto agli studi paleontologici e storici dei colleghi del MiC. I nuovi allestimenti saranno inseriti in un piano generale di riordino, studio, catalogazione e restauro delle opere che dal 2009 sono nei depositi all’Aquila e in altri centri del territorio.
Nella collezione siamo già al Cinquecento e oltre.
Stiamo pensando alla prima sezione che sarà dedicata al mondo antico e al Medioevo.
Quelle Madonne abruzzesi in legno sono autentici capolavori.
Sì, sono opere uniche! La ricchezza del MuNDA la dobbiamo al grande progetto del 1950, quando grazie al lungimirante accordo stilato dallo Stato con enti, diocesi e collezioni private, partner istituzionali del museo, si è potuto esporre una collezione ricchissima e importante che contribuisce ancora oggi a superare sterili posizioni contrapposte, con un dialogo di collaborazione basato sul riconoscimento della proprietà e sulla collaborazione inter istituzionale: un nuovo modello di governance del «Museo 2».
Che cosa significa «Museo 2»?
Un secondo tempo, quello attuale, che appartiene al secondo millennio! All’Aquila è stato fatto tantissimo, con grande orgoglio e grande capacità organizzativa; il dopo terremoto oggi deve restituire vita e speranza. Il grande patrimonio del museo è una realtà e per tale motivo il progetto del grande museo nel Castello deve essere affrontato da subito per diventare la realtà di domani. Nuovi panorami museografici consentiranno di allestire le collezioni attualizzandole grazie agli studi di settore che nel frattempo sono stati fatti. In tal senso stiamo già lavorando.
Ipotizziamo nel 2022 o più realisticamente nel 2023 il ritorno nel Castello spagnolo, dove è parte della raccolta, tra cui il famoso mammut. Come pensa di rientrare nell’enorme complesso cinquecentesco?
Stiamo progettando l’Officina del Castello: un grande laboratorio, un inedito circuito del patrimonio in deposito. Professionisti di elevata capacità provvederanno a revisionare completamente le opere, che dall’iniziale bonifica saranno esaminate con diagnostica dedicata, potranno avere una prima manutenzione e interventi di primo consolidamento ove necessari. Questa linea di cura consentirà la successiva fase di allestimento nelle sale del museo, grazie a un progetto scientifico da iniziare, mi auguro, il prima possibile.
Come si colloca il Mammuthus meridionalis vestinus?
È la nostra mascotte, fa parte della vita degli aquilani che lo hanno assunto come ricordo giovanile. Desidererei che questo importante esemplare paleontologico possa essere nuovamente visitato dai bambini ed essere al centro di una nuova e ricca didattica scientifica. Il mammut e il lavoro scientifico e di restauro eseguito sono la testimonianza del grande impegno scientifico e tecnico intrapreso dopo il terremoto. La collaborazione sancita tra il Ministero e la Guardia di Finanza ha reso possibile questa importante impresa.
In che modo?
Sono stati finanziati 600mila euro dalla Guardia di Finanza per il restauro del mammut e le ricerche specialistiche di tipo microbiologico, anatomico, storico. Tutto questo sarà presentato nel nuovo allestimento del reperto fossile. Il mammut rimarrà nel bastione e un allestimento didattico consentirà di immergersi nel paleoambiente che lo ospitava e di conoscere aspetti di dettaglio sulla sua vita che gli scienziati hanno scoperto con tecniche attuali e d’avanguardia.
A quale modello espositivo pensa?
A un’esposizione ispirata alla massima inclusione, che tenga conto di chi ha difficoltà di udito, di mobilità, di vista. Intendo «per tutti», cioè per la grande varietà del pubblico che ha diversissime esigenze e tutte vanno incluse e considerate.
Pensa anche al linguaggio dei segni?
Certo. Ho lavorato con professionisti eccezionali che creano occasioni inclusive con capacità progettuali ed espressive meravigliose; è il momento di diffondere metodologie di qualità e di massima inclusione. A me piace ricordare moltissimo un’attività che ho potuto seguire, la forza prorompente della onlus Diritti Diretti, fondata da Simona Petaccia, giornalista di Chieti scomparsa nel 2019. Il museo non è solo un luogo dove esporre opere: deve diventare il luogo dove poter trovare sempre nuovi stimoli di ricerca, con i laboratori, e dove sviluppare il legame tra l’opera e il territorio. Le opere non possono essere separate dalla storia del territorio e dai cammini religiosi abruzzesi.
Si riferisce a siti quali l’Oratorio di San Pellegrino nel borgo di Bominaco affrescato nel secondo Duecento?
Esattamente. Il cammino religioso diventa il collegamento tra luogo, ambiente, arte, storia, tradizioni e cultura materiale e immateriale. Si apre un mondo di riferimenti che potrà aggiungere alla collezione, che già testimonia una ricchezza infinita, maggiore conoscenza e maggiore capacità di comunicare con tutti.
Quali sono i rapporti con gli altri istituti culturali cittadini come il neonato MaXXI L’Aquila a Palazzo Ardinghelli?
Stiamo collaborando e offriremo nuove formule di collaborazione grazie alle quali proporre opere di giovani autori che intendiamo presto poter diffondere anche nella città. Con la Fondazione MaXXI stiamo lavorando a un’interessante forma di collaborazione che speriamo presto possa essere presentata.
A suo tempo suscitò qualche polemica in città il fatto che la porzione moderna della raccolta del MuNDA non abbia trovato posto al Mattatoio o non vada a Palazzo Ardinghelli.
Al Mattatoio non hanno trovato posto tante cose. Le opere del Novecento, che coronano le collezioni del museo, furono inserite già dal 1951 testimoniando il grande valore artistico abruzzese. Non vedo sovrapposizioni: il contemporaneo e l’esposizione del MaXXI sono una grande ricchezza e l’inserimento a Palazzo Ardinghelli lo trovo molto affascinante.
Nel Castello una parte dell’esposizione sarà sul Novecento quindi?
Certo.
Quante sono le opere custodite dal MuNDA e quante quelle ora esposte?
Tra i depositi del Castello e del territorio sono circa 2.800 opere e attualmente nella sede del MuNDA ne sono esposte circa 200. C’è un enorme lavoro da fare, sia di censimento sia di studio, indispensabile per il nuovo grande progetto del rientro del museo nel Castello. L’aver inaugurato nel 2015 la sede del museo a Borgo Rivera, vicino alla famosa Fontana delle 99 Cannelle, è stato importantissimo. Il museo esiste, continua a lavorare nonostante tutto, a studiare e a proporre occasioni di condivisione.
Ma nel Castello non potrete esporre tutte le 2.800 opere, vero?
No, non tutto potrà essere esposto. Sarà propedeutico al progetto e all’ingresso nel Castello un aggiornamento e una revisione della catalogazione, che sarà digitale; sarà aggiornato l’inventario di tutte le opere ricoverate nei depositi, esposte e trasferite nel tempo in altre sedi. Stiamo lavorando a un grande e nuovo progetto per l’Officina del Castello, dove grazie a un circuito conservativo le opere saranno bonificate, manutenute e portate in grandi ambienti ove saranno creati laboratori di restauro, schedate e studiate. Questo progetto offrirà la possibilità di ospitare segmenti formativi di alta specializzazione. Molte opere sono lignee e hanno sofferto in un primo tempo i danni del terremoto e negli anni intercorsi gravi attacchi organici dovuti al microclima e all’insorgenza di organismi patogeni di tipo biologico. Tutto questo deve oggi essere affrontato con un progetto organico che ha come obiettivo la realizzazione di nuovi laboratori funzionali, ma anche centri di studio e ricerca.
All’Opificio delle Pietre Dure di Firenze avete in restauro il Gonfalone dell’Aquila, danneggiato dal sisma.
Stiamo lavorando con l’Opificio a una teca che garantisca la perfetta conservazione dell’opera, fragilissima e gravemente danneggiata da precedenti lavori di restauro che non possono oggi essere rimossi in quanto si danneggerebbe il Gonfalone. Nel restauro non esiste una scelta univoca: sono molti i fattori da rispettare e per il Gonfalone è indispensabile conservare questo meraviglioso e fragilissimo tessuto in una teca che eviti di sollecitare con il peso proprio dello stendardo le fibre già molto danneggiate. L’opera sarà esposta a Borgo Rivera, in attesa di un eventuale ulteriore spostamento al Castello, quando ci saranno le condizioni di ripristino degli ambienti a lui dedicati.
Nel Castello fare impianti di climatizzazione e via dicendo non è semplice per la natura stessa dell’edificio.
Proprio per questo abbiamo creato un’importante sinergia tra istituti. Nel progetto esecutivo che si sta portando avanti sono previsti già degli impianti di climatizzazione e di controllo dell’umidità relativa; evidentemente nel progetto del museo questi aspetti, alla base di una corretta esposizione e conservazione delle opere esposte, saranno contemplati. L’Officina del Castello sarà il sistema arterioso del nuovo funzionamento del museo. Il Laboratorio, dal quale potranno essere salvate molte opere che oggi sono in gravissime condizioni di conservazione, e il nuovo assetto storico artistico delle collezioni e degli allestimenti saranno progettati, mi auguro, quanto prima.
Ci saranno laboratori di restauro?
È questo il «concept» in corso di redazione che abbiamo denominato Officina del Castello. I laboratori di restauro ospiteranno le opere che dopo una prima bonifica saranno accudite, schedate e studiate.
Che ne sarà del Mattatoio?
Rimarrà una sede importante. Quando il Castello sarà completamente restaurato si valuterà la sua destinazione d’uso.
Quali tempi prevede per il Castello?
Il primo lotto so che è in fase di conclusione e si stanno accelerando le fasi di istruttoria per l’inizio del secondo e terzo lotto dei finanziamenti. Il nostro progetto dell’Officina, essendo in corso di elaborazione il progetto generale, spero possa iniziare appena sarà conclusa la fase in corso dell’avvio dell’autonomia gestionale del museo, molto impegnativa anche per la carenza attuale di personale.
Quindi il MuNDA potrebbe aprire nella fortezza nel 2023?
Mi auguro di sì, sicuramente una prima sezione, l’area della paleontologia e i percorsi militari e di difesa cinquecenteschi.
Una stima dei costi per l’intervento museale per il Castello?
10 milioni di euro è un importo plausibile.
Della collezione del museo, quali sono le opere esposte a lei più vicine?
Un’opera che proprio mi strugge è la «Santa Balbina» (in legno dipinto del primo Trecento, Ndr), di estrema raffinatezza ed eleganza. Immagino questa scultura dentro Notre Dame, illuminata dal sole che proietta i molti colori dei vetri istoriati. Trasmette una grande raffinatezza artistica, fortemente legata alle opere d'Oltralpe.
È una scultura stupenda, però, come le altre, non è molto conosciuta fuori dall'Abruzzo.
Infatti, se avrò le possibilità sarà importante per il museo esporre alcune delle opere in altri luoghi sia italiani sia stranieri. Sarebbe un grande rilancio anche del valore dell'arte del territorio abruzzese che è un'arte internazionale proprio per i suoi forti collegamenti. Al momento un'opera molto bella del museo è esposta alle Scuderie del Quirinale nella mostra «Tota Italia» in corso fino al 25 luglio.

Maria Grazia Filetici

Castello cinquecentesco, L'Aquila
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