Rocco Moliterni
Leggi i suoi articoliIn un sabato di inizio novembre, con Torino affollata di turisti e appassionati d’arte per la tradizionale Art Week che ruota attorno ad Artissima, ho provato la caffetteria del Mauto, Museo Nazionale dell’Automobile. La gestione è di Pop Up, una società specializzata nell’organizzazione di eventi che in città ha messo in piedi una piccola catena di caffetterie museali comprendente anche il FIATCafé500 della Pinacoteca Agnelli e lo Stella Café della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (dove è sempre chiuso invece il ristorante che fu stellato). Ad attrarmi anche la voglia di provare il Salgadinho, l’aperitivo creato dal Mauto Café in occasione della mostra dedicata ad Ayrton Senna.
Sarà che sono arrivato all’ora di pranzo, ma non ho trovato traccia del Salgadinho, pubblicizzato come uno spuntino realizzato con una tasca di pane sfogliato al formaggio fatta in casa, riempita di roast beef di picanha, chips di platano e mango. Accompagnato da un cocktail signature creato per l’occasione, il Good Morning Brazil, a base di cachaça, mango, lime e caffè. La carta del giorno proponeva solo misticanza con tonno o feta accompagnati da pomodorini, mais, capperi e olive taggiasche. Oppure conchiglie o fusilli con pomodoro e basilico, agnolotti al sugo, o minihamburger con pomodorini secchi e carciofini o infine vitello tonnato, con prezzi oscillanti tra gli 8 e i 12 euro.
Memore della canzone di Modugno che recitava «La misticanza sai è come il vento...» (o no?), ho puntato su questa che ho trovato senza infamia e senza lode. Come nelle mense aziendali dove vige il motto «mensa sana in corpore sano», i condimenti per l’insalata erano in bustine di plastica. Per dessert si poteva scegliere fra torte al cioccolato e pere, muffin, brownie. Senza sapere né che dire né che fare ho scelto un classico della gelateria torinese che è il biscotto di Pepino con gelato al cioccolato e alla vaniglia. Con una lattina di acqua minerale ho speso in tutto undici euro che oggettivamente è niente, ma avrei volentieri speso di più per non sentirmi in mensa. Certo avrei potuto scegliere anche un panino o un toast, ma la musica non sarebbe cambiata di molto. L’impressione è che i musei torinesi non sappiano considerare, a differenza di quelli milanesi (solo per rimanere in Italia, lasciamo perdere Parigi e il resto d’Europa), le caffetterie come un elemento importante dell’accoglienza. E non è un biglietto da visita accattivante per una città che grazie ad Artissima e all’Art Week punta (con successo) su una dimensione internazionale.
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