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Dal 9 dicembre scorso Maria Luisa Pacelli (Perugia, 1969) è la direttrice dell’Accademia Carrara, uno dei musei più preziosi d’Italia, frutto della cultura e del mecenatismo del conte Giacomo Carrara (Bergamo, 1714-96) e di altri grandi collezionisti che, dopo di lui, nel tempo ne hanno arricchito le raccolte. Storica dell’arte, Pacelli arriva a Bergamo forte di un percorso di prestigio e con un patrimonio di relazioni con grandi musei internazionali intessute, dal 2010 al 2019, come direttrice delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara (e dal 2011 al 2019 anche responsabile del fortunato programma espositivo, in Palazzo dei Diamanti e altrove, di Fondazione Ferrara Arte) e poi, dal 2020 al 2024, come direttrice della Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Dottoressa Pacelli, lei arriva da un museo statale come la Pinacoteca di Bologna cui, a seguito della recente riforma, fa capo anche una costellazione di 12 siti archeologici, monumentali e museali del territorio. La realtà di un gioiello del collezionismo privato come l’Accademia Carrara è molto diversa: quali saranno le linee guida che seguirà a Bergamo?
Arrivo in Carrara dopo anni di grande crescita del museo: un nuovo allestimento, il recupero del giardino, l’ampliamento dei servizi, oltre a successi di pubblico e di critica. Questi traguardi, sommati all’eccezionalità del patrimonio e della sua storia, spingono a guardare con ambizione e ottimismo al futuro. Vi sono le condizioni per far volare questa istituzione, facendone un modello di innovazione e buone pratiche, entro una visione organica che integri valorizzazione, tutela e fruizione. Fondamentale è anche il ruolo sociale del museo, la sua capacità di promuovere relazioni significative e stimolanti con le proprie comunità e non solo, con un approccio che, creando un senso di appartenenza, ne favorisca la prosperità presente e futura. In linea con la nuova definizione di museo deliberata da Icom nel 2022, questa vocazione civica è del resto insita nel Dna dell’istituzione che venne fondata da Giacomo Carrara nel 1796 con il primario obiettivo di contribuire al benessere sociale e alla crescita collettiva.
Lei conta di introdurre dei cambiamenti?
Più che introdurre cambiamenti in uno scenario inaugurato appena due anni fa, è ora necessario mettere in campo un modello di sviluppo che possa realizzare al meglio le potenzialità del nuovo assetto, caratterizzato da un percorso permanente incentrato sui valori più alti e le prerogative di unicità delle collezioni e da un intero piano destinato a esposizione temporanee. Penso a una programmazione in grado di valorizzare i grandi temi e protagonisti della Carrara e a un tempo raccontarne la storia, mettendo in gioco quella parte di patrimonio che, come in tutti i musei, è conservata nei depositi. Fondamentale è anche la relazione con il giardino, per cui sto lavorando a esposizioni e altre iniziative incentrate sul rapporto tra arte e natura, e il confronto con i servizi educativi, un’eccellenza del museo, con cui stiamo studiando progetti dedicati a pubblici specifici.
Ci può anticipare qualcosa?
A proposito di impegno civico e di dialogo con la comunità, da aprile ospiteremo uno dei capolavori di Lorenzo Lotto, la «Pala di San Bernardino» (1521) conservata nell’omonima chiesa bergamasca, ammirata da Bernard Berenson, Roberto Longhi e molti altri dopo di loro. L’opera non può rimanere nella sua sede, poiché la chiesa, chiusa da più di un anno, ha bisogno di lavori di ristrutturazione. Alla Carrara il dipinto viene messo in dialogo con le importanti opere dell’artista qui custodite, in un colloquio tra percorso permanente e temporaneo a cui tengo molto. In concomitanza vi sarà una mostra di Axel Hütte dove verranno presentati gli scatti che il fotografo ha dedicato alle opere di Lotto presenti nel territorio. In settembre la pala di Lotto si sposterà nella nuova sede del Museo Diocesano di Bergamo, partner dell’iniziativa, mentre la Carrara in autunno ospiterà una mostra sulla pittura su pietra tra Cinque e Seicento, curata con Patrizia Cavazzini.
Un tema, questo, affrontato di recente alla Galleria Borghese. In che cosa si differenzierà il vostro progetto?
Le differenze principali riguardano il focus sulle nostre raccolte. Stiamo studiando alcune opere, attualmente in restauro, che saranno esposte in dialogo con prestiti provenienti da collezioni pubbliche e private. Un’altra novità sono le opere realizzate con la tecnica del commesso. Sul tema abbiamo avviato un dialogo con l’Opificio delle Pietre Dure che, oltre a un importante patrimonio, conserva il sapere relativo alle materie prime e alle tecniche.
Per il 2026?
In primavera sarà la volta di un progetto atteso da anni: una mostra dedicata ai tarocchi, alle loro origini nel Quattrocento e alla loro fortuna nei secoli successivi, curata da Paolo Plebani e realizzata con la Morgan Library di New York. Per l’autunno, abbiamo in programma una rassegna su Giacomo Carrara che curerò assieme a Plebani e a Giulia Zaccariotto, conservatori del museo, attingendo prevalentemente dalle nostre collezioni. Nel 2026 avvieremo il lavoro sul catalogo scientifico del ’500, dopo che, nell’autunno di quest’anno, uscirà quello dedicato alla raccolta di sculture donata da Federico Zeri.
La sua esperienza a Bologna si è interrotta in modo del tutto inaspettato, visti i risultati raggiunti. Vuole commentarla?
Quella alla Pinacoteca di Bologna è stata un’esperienza importante, e fantastica è stata la risposta della città che ha riscoperto il proprio museo. Pur dovendo affrontare grandi difficoltà, proprie dei musei autonomi di nuova costituzione, in quattro anni è stata fatta molta strada. Il dispiacere è di non aver potuto portare a compimento i molti progetti avviati.
Non è un segreto che prima di lei una figura autorevole come Martina Bagnoli abbia affrontato alla Carrara delle difficoltà di rapporto con il general manager, e che abbia lasciato l’incarico anzitempo. Lei che cosa può dirci?
Ognuno ha la sua storia e personalmente ritengo che la gestione duale sia un’opportunità. Condivisi gli obiettivi, consente infatti alle due figure dirigenziali di concentrarsi sui propri ambiti di competenza. Vengo da un’esperienza, quella bolognese, dove per la scarsità di personale e per la totale assenza di risorse specializzate in alcuni settori ho dovuto ricoprire per lunghi periodi un’infinità di ruoli, e ciò non ha giovato né a me né, tantomeno, all’istituzione. Il general manager Gianpietro Bonaldi è una persona molto capace e ha certamente concorso al successo della Carrara negli ultimi 10 anni. Stiamo lavorando assieme su diversi ambiti e su altri abbiamo avviato un confronto serrato che sono certa darà i suoi frutti.

Lorenzo Lotto, «Pala di San Bernardino», 1521, Bergamo, chiesa di san Bernardino

Raffaello, «San Sebastiano», 1501-2, Bergamo, Accademia Carrara
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