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Olga Scotto di Vettimo
Leggi i suoi articoli«Partiamo da un museo sconosciuto, era un vero modello di antimarketing». Sylvain Bellenger guida la reggia borbonica dopo aver lottato con la burocrazia americana. Progetta mostre sui napoletani e sull’arte internazionale e propone una rivoluzione: «Non ha senso essere aperti undici ore, se si è costretti a tenere chiuse molte sale»
Sylvain Bellenger (Valognes, Francia, 1955) è alla guida del Museo di Capodimonte dallo scorso novembre. Laureato in filosofia, specializzato in Storia dell’arte all’École du Louvre e alla Sorbonne, giunge a Napoli dopo esperienze di studio e di lavoro negli Stati Uniti. Capocuratore della Pittura e Scultura europea e americana al Cleveland Museum of Art, fino alla recente nomina è stato capo del Dipartimento di Pittura e Scultura europee medioevali e moderne all’Art Institute di Chicago. Una carriera dapprima percorsa in Francia, dove dal 1986 è conservateur des Musées de France. Tra i più significativi incarichi di quegli anni, la direzione presso lo Château et Musées de Blois, dove dal 1992 al 1999 ebbe l’opportunità di lavorare in dialogo con Jack Lang, allora ministro della Cultura francese e sindaco di Blois. Incontrato nel suo ufficio a Capodimonte, dichiara l’entusiasmo per il museo e una passione per la città.
Che tipo di museo ha trovato?
Conosciuto solo dagli studiosi, Capodimonte ospita una delle più straordinarie collezioni d’arte in Europa. La presentazione delle opere è intelligente e sofisticata. Le sale sono state allestite con enorme coerenza da direttori di eccellenza, come Raffaello Causa e Nicola Spinosa. Le curatrici sono competenti e dedicate, colte e appassionate. I restauratori sono abilissimi, nel solco della grande tradizione della scuola napoletana del restauro.
Non ho trovato, invece, un’organizzazione coerente. Manca una squadra che segua le operazioni ordinarie nel museo, la sua manutenzione, la vita quotidiana ed economica. Mancano le cose normali. Non c’è un ristorante, una sala riunioni né una segreteria; gli uffici non sono raggruppati e mancano figure intermedie per il management dei quasi 200 dipendenti. Inoltre il museo è invisibile. Sembra quasi che negli anni sia stato attuato con coerenza un pensiero di antimarketing!
Come valuta la situazione italiana? Quali sono le differenze più evidenti con gli Stati Uniti?
Le rispondo con una battuta: la burocrazia è dappertutto, io ne sono allergico. Mi sono lamentato così tanto della burocrazia americana che dio (o il diavolo) mi hanno sentito e mandato a Napoli! Esiste una doppia faccia dell’Italia: da un lato una burocrazia bizantina, dall’altro l’improvvisazione geniale, veloce, il contrario dell’America in cui l’organizzazione è cosi «organizzata» da penalizzare la creatività. La più grande differenza tra musei americani e musei europei è nella diversa storia. Negli Stati Uniti le collezioni si formano attraverso un atto di volontà, di generosità, volto all’educazione. Sono una conquista. In Italia, come in Francia, sono un patrimonio, frutto di una cultura ereditata. Gli oggetti sono «cose di casa», appartengono come noi alla storia.
Tuttavia, spesso questa familiarità è anche una debolezza perché si dà tutto per scontato. Non si coglie il privilegio che si vive. La grande lezione che dell’America conservo è la dimensione educativa. Voglio mettere l’educazione e il pubblico al centro di Capodimonte. Intendo portarci il turismo croceristico perché non sia più solo il museo della classe colta, da Grand Tour, ma luogo di vita, di curiosità e di piacere. Si devono rivedere gli orari: non ha senso essere aperti 11 ore, se si è costretti a tenere chiuse molte sale.
Quali sono le opportunità e i limiti che riscontra nella riforma del Mibact?
È fondamentale avere introdotto il concetto di responsabilità per i grandi musei, sganciandosi da un sistema obsoleto di Soprintendenze. Tuttavia una riforma non è solo un decreto, si costruisce. L’autonomia va costruita nel tempo. Bisogna dialogare con Roma, cambiare mentalità e ricordare che l’interlocutore finale sono il pubblico e il bene del museo.
A quali progetti sta lavorando?
Per ora il mio lavoro è quello dell’idraulico. Devo aggiustare perdite d’acqua, riorganizzare una casa antica. Mi ripropongo di istituire un Centro educativo con giovani che parlino il linguaggio della contemporaneità e che attraversino in modo tematico le sale del museo, stravolgendo la lettura convenzionale delle opere e delle collezioni. In aggiunta alle collezioni c’è poi l’incarico del Real Bosco di Capodimonte, che deve essere valorizzato anche come luogo di svago, ma sempre con un forte senso civico che ne garantisca sicurezza e pulizia.
L’arte contemporanea è presente a Napoli anche grazie al lavoro del Madre. Tuttavia manca nella cultura dei giovani la modernità internazionale che oggi è ormai classica. Fa male pensare che i ragazzi non abbiano mai visto a Napoli una mostra di Picasso, di Matisse, dell’Espressionismo tedesco o dell’Espressionismo astratto. Voglio fare mostre sull’arte straniera non conosciuta a Napoli, ma anche mostre sulla grande tradizione napoletana: Stanzione, De Bellis e gli scultori Sanmartino, Bottigliero, Viva. Inoltre, intendo lavorare con il Conservatorio di San Pietro a Majella e invitare i giovani musicisti a suonare nelle sale, introducendo la musica nella vita del museo e del Bosco.
Leggi le interviste agli altri direttori
- La Galleria Nazionale d’Arte antica di Roma
- La Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma
- Il Museo Nazionale del Bargello di Firenze
- Il Palazzo Reale di Genova
- La Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia
- La Galleria Nazionale delle Marche di Urbino
- La Pinacoteca di Brera a Milano
- Le Gallerie dell'Accademia di Venezia
- La Galleria dell'Accademia di Firenze
- La Reggia di Caserta
- La Galleria Borghese di Roma
- Le Gallerie degli Uffizi di Firenze
- Il Palazzo Ducale di Mantova
- Il Museo Archeologico di Napoli
- Il Parco Archeologico di Paestum
- Il Museo Archeologico di Reggio Calabria
- Il Museo Archeologico di Taranto
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