Virtus Zallot
Leggi i suoi articoliIn che modo e perché san Nicola, vescovo serio e serioso (come si conveniva ai vescovi antichi) vissuto tra III e IV secolo, venerato da cattolici e ortodossi, davanti al cui sepolcro (a Bari, nel 2007) persino Vladimir Putin si inchinò, si sarebbe tramutato in un bel vecchio che porta doni ai bambini e (addirittura!) nel pacioso Babbo Natale?
Eppure Nicola non fu certo un bambino normale se, ancora in fasce, praticava il digiuno del mercoledì e del venerdì come illustrato nel ciclo (XI secolo) in Sant’Eldrado a Novalesa, dove rifiuta sdegnato il seno materno. Crebbe poi buono e santo, pronto a soccorrere i bisognosi tanto con strepitosi miracoli che con umanissima carità, riservando particolare attenzione a giovanetti e bimbi.
Introdusse nottetempo tre sacchetti o palle d’oro nella camera di un vecchio padre che, non avendo il denaro per fornire loro la dote, progettava di avviare alla prostituzione le tre figlie. Dedotte da tale episodio, le tre palle d’oro divennero suo attributo iconografico, consentendo di distinguerlo dagli altri vescovi santi.
Nicola restituì anche vita (e interezza corporea) a tre giovanetti (secondo alcune leggende chierici o studenti) che un crudelissimo oste aveva ucciso e ridotto a pezzi, conservandoli in salamoia per cucinarli agli ospiti.
Il soccorso alle tre ragazze e il miracolo dei tre giovanetti ricorrono nelle sue Vite illustrate: Simone Martini li dipinse nella predella per il polittico Quaratesi (1425), nelle tavolette ora conservate alla Pinacoteca Vaticana. Meno raffigurato è il miracolo post mortem con cui Nicola riportò ai genitori il piccolo Deodato, rapito dai saraceni. Lo acchiappò per i capelli e, come l’angelo con Abacuc, lo condusse in volo.
Il santo avrebbe salvato anche il neonato che una madre distratta aveva poggiato entro una bacinella d’acqua bollente. Concesse inoltre la grazia di un figlio ai vecchi genitori di san Nicola da Tolentino, che per riconoscenza attribuirono al bambino il suo nome. L’episodio è raffigurato negli affreschi trecenteschi nel Cappellone di San Nicola a Tolentino.
Il santo vescovo diventò quindi protettore dei bambini e degli scolari, tanto che il maestro Rovellio, nella pala (1539) per la chiesa bresciana di Santa Maria dei Miracoli ora alla Pinacoteca Tosio Martinengo, chiese al Moretto di impersonarlo mentre introduce alla Vergine i piccoli allievi.
Nel tardo Medioevo Nicola divenne portatore di doni, recapitandoli ai bambini buoni la notte (tra il 5 e il 6 dicembre) che precede la sua festa. Tale tradizione è ancora viva in molti paesi dell’Europa centro-settentrionale e in alcune località italiane. Io stessa, bellunese d’origine, ricordo la filastrocca recitata il 5 dicembre: “Stasera, bei bocete (bambini), andè a dormir bonora (presto) perché, dopo le sette, san Nicolò el vien fora (fuori)…”.
Dal XVII secolo fu messa in scena la sua consegna dei doni, affiancandogli un servitore dall’aspetto animalesco e spaventoso che redarguiva i bambini cattivi. In alcuni contesti costui finì per sostituirlo, addolcendosi e assumendo il nome (derivato da Nicola) di Niklaus, Klaus o Santa Claus. Dal XIX secolo la consegna dei doni fu posticipata a Natale; Santa Claus assumeva nel mentre l’aspetto di Babbo Natale, come testimonia l’illustrazione di Thomas Nast per l’«Harper’s Weekly Magazine» dell’1 dicembre 1881.
Più tardi, negli Stati Uniti, Santa Claus/Babbo Natale divenne capitano d’industria, proprietario di una fabbrica di balocchi dove lavorano ininterrottamente centinaia di elfi-operai. Nel 1931 la Coca-Cola lo ingaggiò come testimonial della sua bevanda, sancendo la globalizzazione di un eroe laico che sollevò il santo dall’impegno forse più gradevole, lasciandogli il compito di proteggere automobilisti e viaggiatori e di occuparsi di coloro che continuano a implorarlo, sempre meno ma molti.
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