Virtus Zallot
Leggi i suoi articoliSan Silvestro gode di fama mondana di cui non ha responsabilità o colpa, prestando il nome al veglione del 31 dicembre soltanto perché il giorno gli è dedicato. Morì infatti il 31 dicembre del 335, senza vivere episodi o circostanze collegabili a riti di fine anno.
Altrettanto gratuita è la sua notorietà storica, essendo ricordato non tanto per il suo papato (piuttosto incolore) ma per la Donazione di Costantino, atto compilato tra VII e IX secolo (la cui falsità fu dimostrata nel XV) su cui la Chiesa fondò la legittimità del proprio potere temporale e la superiorità dell’autorità papale su quella imperiale. Costantino l’avrebbe redatto per gratitudine, avendolo Silvestro battezzato e, mediante l’immersione nella sacra vasca, guarito dalla lebbra del corpo e dell’anima.
Intorno alla metà del XIII secolo la Vita di san Silvestro fu affrescata nell’Oratorio romano presso il complesso fortificato dei Santi Quattro Coronati, in un ciclo cui la sintesi formale ed espressiva del Romanico conferisce particolare chiarezza e perentorietà. Vistosamente malato di lebbra, nel primo episodio Costantino (ancora pagano) rinuncia alla crudele terapia per la quale avrebbe dovuto immergersi nel sangue ancor caldo dei bambini che le madri sono state costrette a recargli. Nella scena successiva è a letto, come di consueto nell’arte medievale senza spogliarsi di abito e corona per mantenersi riconoscibile. Mentre dorme gli appaiono i santi Pietro e Paolo (che non conosce e riconosce) e, con gesti eloquenti, gli consigliano di rivolgersi al vescovo Silvestro. Costantino invia al futuro santo i propri ambasciatori e la scena in cui salgono il monte Soratte è uno dei brani ambientali più belli della pittura romanica, anche solo per l’albero a trifoglio e, soprattutto, per quello a stella ennagonale.
Silvestro accetta di raggiungere Costantino a cui, nell’episodio seguente, mostra l’icona dei santi Pietro e Paolo. Riconoscendovi coloro che gli erano apparsi in sogno, l’imperatore accetta di convertirsi. Riappare infatti immerso nella vasca battesimale, nudo per esibire il corpo istantaneamente guarito. Lo affiancano da un lato i suoi funzionari (che gli reggono abito e corona, non tanto per annotazione realistica ma sempre a garanzia di riconoscibilità), sul lato opposto Silvestro (insignito dell’aureola) con un gruppetto di chierici. Mediante centralità e isolamento, il battesimo e il battezzato (monumentale nella sua frontalità) acquisiscono grande visibilità, tramandando un altro avvenimento tanto famoso quanto fantasioso.
Il ciclo dedica i due successivi episodi alla Donazione. Nel primo Costantino porge a Silvestro le insegne del potere: l’ombrellino processionale e la tiara. A ginocchia flesse, riverente e sottomesso, pare interpretare il brano in cui, nel falso documento, decreta l’obbligo di venerare e onorare la Chiesa di Roma e di riconoscerle superiorità rispetto alle istituzioni terrene. Nel secondo, abbassatosi al rango di scudiero, conduce il cavallo di Silvestro verso il Laterano, visualizzando l’acquisizione papale dei territori offerti in dono. Significativamente, il breve corteo vede la croce anticipare la spada, ulteriore accorgimento visivo per ribadire la superiorità dell’autorità di Roma.
Il racconto figurato continua con il miracolo del toro risuscitato e con la sconfitta di un terribile drago, scene che (insieme agli antefatti e alla celebrazione del battesimo) compaiono in tutte le Vite illustrate del santo. Ciò che distingue il ciclo dei Santi Quattro Coronati è proprio la restituzione visiva anche della Donazione, operazione per nulla banale e riuscitissima grazie ad abilissimi inventori d’immagine ignari di veicolare una delle più clamorose fake news del Medioevo, ed oltre.
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