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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliProcede il restauro, avviato lo scorso marzo, della «Resurrezione» di Piero della Francesca, l’affresco nella sala del Museo Civico (cfr. n. 348, dic. ’14, p. 27).
Il cantiere, che è visitabile e consente di vedere l’opera in una privilegiata condizione ravvicinata, si concluderà entro un anno ed è condotto dall’Opificio delle Pietre Dure. I lavori sono diretti da Cecilia Frosinini e svolti da Paola Ilaria Mariotti dell’Opificio insieme a Umberto Senserini della Soprintendenza aretina, peraltro già esperti di Piero per aver lavorato «da giovani» al restauro del ciclo della Vera Croce in San Francesco, cantiere all’epoca (erano gli anni Novanta) davvero sperimentale. Le indagini sono state svolte dai chimici Giancarlo Lanterna e Carlo Galliano Lalli dello stesso Opificio.
Le novità più rilevanti emerse riguardano soprattutto la tecnica che alterna parti a fresco con altre a secco: «Gli interventi a secco complicano il restauro, spiega Cecilia Frosinini, poiché è impossibile ad esempio operare un consolidamento a bario: lo stato di conservazione dell’opera è davvero precario, anche perché sono stati fatti interventi molto discutibili forse nel Settecento, e noi come Opificio avevamo lanciato l’allarme già nel 2010».
La fortuna di Piero della Francesca e il riconoscimento dei valori della sua pittura per gli artisti delle generazioni successive è storia otto-novecentesca (ricordiamo l’indimenticabile monografia di Longhi).
La stanza era un tempo adibita alle riunioni delle magistrature: i danni che il dipinto presenta, specie nella parte superiore (nel cielo dove sono stati usati pigmenti più fragili che male hanno retto interventi invasivi) e su di un lato, sono dovuti al calore della canna fumaria di un camino posto sulla parete della stanza adiacente, camino nel quale si bruciavano i voti durante i consigli della magistratura locale.
Torna poi alla ribalta la questione se si tratti di un affresco staccato o no: paradossalmente non vi sono documenti relativi alla commissione e alle vicende di un’opera capitale nella storia dell’arte, ma Ugo Procacci aveva la convinzione che l’affresco fosse stato staccato da altra sede (forse nel palazzo stesso), compiendo un trasporto a massello (quindi prelevando l’intera porzione del muro dipinto), non uno strappo, ipotesi che vedeva concorde anche Alessandro Conti.
«Non vi sono elementi per escludere né l’una, né l’altra possibilità», commenta la Frosinini, «ma il fatto che possa trattarsi di un trasporto a massello è positivo poiché, trattandosi di zona a rischio sismico, significa che l’affresco non sarebbe saldato del tutto col muro che lo accoglie e reggerebbe quindi meglio le scosse».
L’Opificio, data la delicatezza dell’intervento, ha nominato una commissione scientifica di esperti, di cui fan parte Giorgio Bonsanti, Alessandro Angelini, Matteo Ceriana, Franck Dabell, Emanuele Baffra e Mauro Matteini; il costo dell’intervento ammonta a circa 140mila euro, 40mila dei quali messi dal Comune e 100mila da un benefattore privato, Aldo Osti, ex dirigente della Buitoni.
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