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«La valorosa Téméraire» (1839) di William Turner, Londra, National Gallery

Foto tratta da Wikipedia

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«La valorosa Téméraire» (1839) di William Turner, Londra, National Gallery

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Quando John Ruskin consacrò William Turner

Claudio Strinati riflette sul concetto di «creazione» e «creatore» elaborato e argomentato dallo scrittore britannico all’interno dei 5 volumi di «Modern Painters»

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Claudio Strinati

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John Ruskin ha contribuito non poco a radicare nelle menti di tutti noi l’idea in base a cui l’artista, se degno di tal nome, è un creatore nel senso letterale del termine, posto che esista un senso letterale, il che in effetti non è. Direttamente paragonabile, dunque, con l’Essere Supremo quando crea dal nulla, malgrado l’idea del nulla, a sua volta, sia indefinibile in sé. Tuttavia, da che mondo è mondo, se si crede al Tutto che è Dio stesso, si può anche confidare nell’opposto, il Nulla appunto. La fabbricazione dell’opera d’arte è definibile, dunque, «creazione». Ruskin costruì su tale debole principio quel monumento immane di sapienza artistica che è Modern Painters, 2mila pagine pubblicate in 5 volumi tra il 1843 e il 1860 con buon esito tale da generare tanti importanti epigoni sovente ben superiori.

Resta comunque memorabile quel diluvio di argomentazioni che travolgono arte, scienza, filosofia, erudizione su disparati generi, avente come scopo unico ed essenziale la consacrazione di William Turner, vilipeso e sottovalutato al suo tempo, tanto da implicare un difensore di ufficio (peraltro non richiesto) dotato di dottrina ed eloquenza. Lo scopo fu raggiunto e Turner, morto nel 1851 durante la stesura di Modern Painters, fu proclamato creatore, proprio là dove l’umano e il divino sembrano confondersi in un empito romantico che Ruskin in qualche misura ebbe sul serio. Nella foga delle argomentazioni, specie nelle parti quarta, quinta e sesta del II volume, trapelano interessanti e profonde contraddizioni curiose per il lettore attuale e quindi moderno anche lui, come recita il titolo del maestoso trattato. 

Ruskin vi spiega i fondamentali della Geologia e delle Scienze naturali secondo le più recenti acquisizioni della ricerca del suo tempo andando a confinare, ma senza poterne tener conto, con L’origine delle specie di Darwin che esce nel 1859 quando la pubblicazione di Modern Painters sta per concludersi. Ora Ruskin studia le montagne, emblemi di solidità e durata, ma scopre che i materiali che le costituiscono sono fragili e delicati. Si chiede quale fosse il progetto del Creatore (Dio, in questo caso, non Turner) considerando come nel concetto stesso di Creazione dovrebbe essere implicito quello di Perfezione. E ne conclude (dall’edizione italiana Einaudi, a cura di Giovanni Leoni e Alessandro Guazzi, 1998): «Evidentemente una perfetta stabilità e una assoluta sicurezza non erano nei piani. Per il Creatore sarebbe stato altrettanto facile creare montagne di acciaio come di granito, di diamante come di calce; ma ciò, chiaramente, non faceva parte degli intenti divini; le montagne dovevano essere distruttibili e fragili». Aggiunge, però: «Non ci è per nulla difficile percepire gli intenti benefici per i quali fu decretata la fragilità delle montagne». Li enumera ma non è affatto convincente. Ma Ruskin si conferma appieno nell’idea che Turner, indiscusso creatore nel suo confondere costantemente le acque del vero e del verosimile, possa aver visto giusto, senza bisogno di fornire alcuna spiegazione se non anticipando il pirandelliano «così è (se vi pare)»

Claudio Strinati, 28 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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