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Aratro preistorico in legno esposto nel museo di Desenzano

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Aratro preistorico in legno esposto nel museo di Desenzano

Quando il legno è imbibito

Ottenere una stabilizzazione del materiale senza ricorrere a tecniche e materiali che ne forzino e stravolgano l’essenza, richiede una serie di condizioni non facili da ottenere

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Giorgio Bonsanti

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Nei giorni 9 e 10 febbraio un convegno tenuto a Milano presso la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province lombarde, organizzato dall’Igiic (Gruppo Italiano dell’International Institute for Conservation, Ndr) in collaborazione con la Soprintendenza stessa, ha preso in esame le varie problematiche riguardanti la conservazione dei legni imbibiti. Il secondo giorno, i partecipanti hanno potuto osservare di persona alcune casistiche particolarmente significative nel corso di due visite al bellissimo Museo di Desenzano e a quello di Gavardo (Bs).

Con la definizione di legni imbibiti si intendono quegli oggetti (manufatti ma anche elementi naturali, come ad esempio tronchi d’albero) che a causa delle circostanze della loro storia, avendo assorbito in abbondanza acqua e umidità, ne sono rimasti totalmente impregnati, tanto da presentarsi oggi in condizioni di saturazione. Tipico è il caso di imbarcazioni riscoperte nel corso di scavi eseguiti spesso nel corso di lavori pubblici anziché di campagne archeologiche mirate. Fra i casi che nel nostro Paese hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica, particolarmente noto quello delle navi di Pisa, la cui scoperta ha avuto inizio nel 1998, e che si trovano adesso esposte nella stessa città in un museo loro dedicato.

Le criticità offerte dai legni imbibiti sono molteplici, e in buona misura specifiche e caratteristiche di questa tipologia, anche se le dinamiche generali le apparentano ad altre di altra natura nel grande campo della conservazione. Dopo la loro riscoperta, gli oggetti debbono affrontare di colpo condizioni ambientali drammaticamente diverse rispetto a quelle in cui si erano trovati per un tempo che può essere a volte lungo millenni, come nei casi di palafitte, piroghe o attrezzi vari legati alle prime civiltà umane (a Desenzano è esposto un aratro ligneo fra i primissimi conservati). La loro sopravvivenza discende dall’essere rimasti inclusi in ambiente anaerobico, sì che i batteri non hanno potuto esercitare la loro azione distruttrice sui materiali organici.

Occorre evidentemente evitare che alla riscoperta faccia seguito un processo di essiccazione troppo rapido; le pareti lignee ormai prive dei liquidi che saturavano gli spazi vuoti, sarebbero destinate a un collasso disastroso. Anche nel caso dell’impiego della liofilizzazione, originato in ambito di conservazione cartacea ma sempre più diffuso anche per questi manufatti, in cui l’acqua contenuta all’interno viene trasformata in ghiaccio che poi evapora, è prassi eseguire preventivamente un trattamento consolidante.

Per il consolidamento, da una sessantina d’anni è stato diffusamente impiegato il PEG, glicole di polietilene, un polimero solubile in acqua tanto da potersi veicolare all’interno del manufatto. Come ogni altro consolidante penetra maggiormente se è meno denso, ma avrà meno valore aggregante; se più addensato, avrà minore penetrazione ma otterrà migliori risultati quanto a consolidamento. Il fatto è che se ne sono constatate col tempo pesanti controindicazioni, ad esempio nel caso frequentissimo in cui insieme con il legno si trovino elementi metallici, di cui viene allora favorita la corrosione, a causa della forte presenza di acido solforico, che agisce da catalizzatore per una serie di reazioni di degrado ossidativo (M. Baglioni-G. Poggi 2006).

Il trattamento PEG più diffusamente conosciuto è quello ampiamente applicato al Vasa, il galeone svedese che colò a picco il giorno stesso del varo, nel 1628. Viene anche osservato che i trattamenti PEG portano a un’uniformizzazione artificiale dell’aspetto visivo, criticità anch’essa da non sottovalutare. Il fatto è che ottenere una stabilizzazione del legno imbibito senza ricorrere a tecniche e materiali che ne forzino e stravolgano l’essenza, richiede una serie di condizioni non facili da ottenere nella pratica; come l’accettazione di tempi a volte molto prolungati, nell’ordine dei decenni, e la disponibilità di spazi e finanziamenti adeguati (come è evidente, ad esempio, se il manufatto ritrovato è un’imbarcazione, magari ancora intera).

Su argomenti di questa natura si sono registrati nel corso del convegno discussioni e confronti anche serrati fra gli scienziati, meno pressati da condizionamenti di carattere pratico, e restauratori o funzionari, che debbono riuscire in qualche modo a soddisfare contemporaneamente le ragioni della conservazione e le aspettative dell’opinione pubblica.

Aratro preistorico in legno esposto nel museo di Desenzano

Giorgio Bonsanti, 17 marzo 2023 | © Riproduzione riservata

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Quando il legno è imbibito | Giorgio Bonsanti

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