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Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliSignor direttore, il prestito di oltre cinquanta opere da parte delle Gallerie degli Uffizi è un risultato prezioso per la mostra romana: come si è articolata la collaborazione con le Scuderie del Quirinale?
Con un decreto legislativo è stato deciso di consacrare i tre anni dal 2019 al 2021 a tre nomi simbolici e fondamentali per la cultura italiana nel mondo: i cinquecentenari della morte rispettivamente di Leonardo e Raffaello, e la celebrazione dei 700 anni dalla morte di Dante. L’anno leonardesco è stato aperto da una importante mostra agli Uffizi, coorganizzata con il Museo Galileo Galilei, sul Codice Leicester. È stata visitata da circa 400mila visitatori, e possiamo dire che è stato un successo anche dal punto di vista delle novità scientifiche. Anche per Raffaello ci è sembrato inutile disperdere l’occasione in tante piccole iniziative, e per questo motivo abbiamo unito le nostre forze con le Scuderie del Quirinale a Roma, la città che segna l’apice della carriera dell’artista. Il curatore per le Gallerie degli Uffizi è Marzia Faietti: già a capo del Gabinetto Disegni e Stampe, studiosa dell’arte e del disegno italiano del Cinquecento di fama internazionale, specialista di Raffaello, negli ultimi tre anni si è dedicata completamente al progetto. Affidandole questo incarico, ero certo dell’eccellenza del risultato.
In quale modo la mostra dà conto del periodo fiorentino del pittore e dell’evoluzione stilistica successiva al suo arrivo a Roma?
Intanto, la mostra copre tutta l’attività raffaellesca, e copre la sua intera evoluzione stilistica con un accento particolare sugli anni romani, nonché su temi importanti quali ad esempio l’attività dell’artista come architetto e come soprintendente delle Antichità dell’Urbe. Tra il 1504 e il 1508, anche Leonardo e Michelangelo si trovavano a Firenze insieme a Raffaello, e questo si riflette immediatamente nella sua arte, che inoltre risente moltissimo della pittura dolce e monumentale di Fra’ Bartolomeo, il pittore domenicano di San Marco. Queste relazioni si vedono molto bene nelle due sale recentemente riallestite agli Uffizi dedicate a questi artisti, perciò non abbiamo voluto stravolgerne l’equilibrio narrativo. Abbiamo deciso però di prestare il «San Giovanni nel deserto», un’opera della fase estrema di Raffaello: la figura ricorda nella posa il Laocoonte, copia romana di un originale ellenistico, e si inserisce benissimo nella mostra romana, che dà un grande risalto al rapporto dell’Urbinate con l’antichità classica. Nella mostra, prestiti da musei e collezioni di tutto il mondo contestualizzano quelli dagli Uffizi e dalla Galleria Palatina, oppure sostituiscono magnificamente le opere che, soprattutto perché troppo fragili, non hanno potuto viaggiare. La «Madonna del Prato» di Vienna databile 1505-6, ad esempio, viene rappresentata dall’importantissimo disegno preparatorio del Metropolitan Museum di New York. E per il periodo tra Firenze e Roma, ricordo la «Madonna Tempi», in prestito dalla Alte Pinakothek di Monaco: un’opera straordinaria, che cita la Madonna Pazzi di Donatello e riflette la lezione di Leonardo nella levità atmosferica che avvolge le figure. Dell’ultimo periodo fiorentino, molto probabilmente, è anche l’autoritratto dell’artista, uno dei vertici della collezione costituita dal cardinal Leopoldo de’ Medici, che al suo ritorno agli Uffizi verrà esposto nel nuovo allestimento che stiamo preparando proprio per gli autoritratti.
Quali dipinti potranno continuare ad ammirare a Palazzo Pitti e agli Uffizi i visitatori, magari completando, proprio a Firenze, un percorso sulle orme dell’Urbinate?
A Firenze restano molti capolavori: come dicevo, agli Uffizi rimane sostanzialmente invariata la sala di Raffaello, dove si potranno ammirare oltre ai ritratti di Guidobaldo da Montefeltro e di Elisabetta Gonzaga, anche quelli dei coniugi Doni, esposti accanto al Tondo con la Sacra Famiglia che essi commissionarono a Michelangelo. E poi rimane, nella stessa sala, anche la sublime «Madonna del cardellino». A Palazzo Pitti, si potranno ammirare circa la metà delle opere dell’Urbinate che di solito vi sono conservate, e soprattutto la celebre «Madonna della Seggiola», che non si muove dalla Sala di Saturno sia per ragioni conservative sia perché quel dipinto è uno dei simboli della collezione.
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