Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Francesca Orsi
Leggi i suoi articoliQualche giorno fa John Gossage, sul suo profilo Instagram, dove condivide alcune delle migliori «mirabilia» editoriali della fotografia, ha postato quello che secondo lui potrebbe essere definito il primo libro di fotografia punk, o comunque uno delle pietre miliari di questo genere fotografico, «Bye Bye Photography» di Daido Moriyama, datato 1972.
Animo ribelle e sovversivo, sperimentatore riottoso alle tradizioni della società, soprattutto a quelle della fotografia convenzionale, non è un caso che il fotografo giapponese sia stato scelto, con la mostra «Daido Moriyama. A retrospective», come padre putativo della XX edizione del festival Fotografia Europea 2025, il cui tema centrale è: «Avere vent’anni».
La manifestazione reggiana, a cura di Walter Guadagnini, Tim Clark e Luce Lebart, mette in luce il moto propulsivo e vitale delle generazioni dei ventenni nell’affrontare i problemi ambientali, politici e sociali del nostro pianeta, ma anche quelli più intimistici relativi all’identità e alla memoria. Dentro al festival si percepisce chiara la spinta in avanti di un’entità, giovane e combattente, che non intende rimanere in silenzio, ma anzi vuole denunciare e rivelare, alternando la forza impattante delle dinamiche globali alla delicatezza delle fragilità più personali e intime.
Per trasmettere questa eterogeneità di racconti e di voci non c’è location migliore dei Chiostri di San Pietro, che ogni anno, forse non a caso, diventano la casa di tematiche che risuonano con il senso precario delle sue sale espositive, dove tubi ed elementi strutturali rimangono a vista nell’allestimento, con quel suo essere eternamente «non finito». Questo luogo permette un dialogo aperto tra il concetto di fragilità, precarietà e cura, con quello di ruvidezza, libertà, spontaneità, e forza, e lo fa con installazioni immersive e potenti. Uno degli impianti espositivi più scenografici, giocato esclusivamente sulla percezione dell’immagine, è quello della mostra di Andy Sewell, «Slowly and then all at once», con cui l’autore vuole rendere percepibile la fisicità del potere, la collisione dei corpi delle autorità con quelli dei giovani che protestano per il cambiamento climatico. Sewell ricerca spasmodicamente di trasmettere la sensazione della tensione corporea con grandi pannelli (dittici o trittici) che sembrano essere il prolungamento della stessa immagine, ma non lo sono. Ogni pannello è a sé stante, ma uniti insieme creano una prospettiva che rende la mostra un’esperienza tridimensionale sulla fenomenologia del potere.

Fotografia Europea. Foto outThere Collective
Di altra fattura la mostra di Claudio Majorana, «Mal de Mer»: il fotografo del collettivo CESURA indaga con un bianco e nero lieve e intimista gli adolescenti lituani alle prese con il loro passato storico, ma contemporaneamente anche con una fase della vita in costante bilico tra ciò che si è e ciò che si sarà. La vulnerabilità di questi ragazzi è resa da Majorana con un’estetica pulita, semplice e diretta. Gli adolescenti si prestano al suo sguardo in maniera cristallina e lui riesce, a cogliere il loro essere equilibristi esistenziali in modo commovente.
Se Sewell gioca molto sul concetto di spazio espositivo e Majorana sulla resa estetica e intimista delle sue fotografie, in «You don’t die» è la storia che abbatte le barriere percettive. La mostra è un lavoro di selezione fotografica e video a opera di Ghazal Golshiri e Marie Sumalla, che hanno voluto rappresentare, con un’esposizione di alto valore storico ed emotivo, la condizione della donna in Iran e le proteste innescate dall’uccisione di Mahsa Amini, nel 2022, ad opera della polizia religiosa. Per questa esposizione, come per quasi tutte quelle ospitate ai Chiostri di San Pietro, la voce della generazione dei ventenni è vibrante, urlata con allestimenti scenografici, oppure sussurrata rimanendo nella intimità delle storie private.
A Palazzo da Mosto, invece, la mostra di Rä di Martino risulta poco chiara di intenti e quella di Federica Sasso, forse un po' troppo concisa, non riesce ad approfondire bene la figura dei giovani «caregivers». Interessanti invece i due progetti vincitori dell’open call del festival: «Silent Spring» di Michele Borzoni e Rocco Rorandelli e «Octopus’s Diary» di Matylda Niżegorodcew. La coppia targata TerraProject indaga il mondo dell’attivismo ambientale in conflitto con le istituzioni, alternando una documentazione maggiormente figurativa a un metodo tipologico alla Bernd e Hilla Becher.

Fotografia Europea. Foto outThere Collective
Infine, a Palazzo dei Musei troviamo la mostra che, annualmente, omaggia l’archivio di Luigi Ghirri, mettendolo in dialogo con altri patrimoni visivi e altre realtà d’archivio. Quest’anno l’esposizione prende come incipit progettuale un classico della letteratura fotografica «Lezioni di fotografia», in cui è raccolta non solo l’eredità ghirriana ma soprattutto i metodi con cui, da insegnante, il fotografo di Scandiano si approcciava alle future generazioni di fotografi nel trasmettere un guardare che partisse dalla storia dell’immagine.
Mai importante come quest’anno, visto il tema del festival, Giovane Fotografia Italiana/Premio Luigi Ghirri, alla sua dodicesima edizione, ha visto vincere Davide Sartori con il progetto «The Shape of our Eyes, Other Things I Wouldn’t Know», in cui l’autore usa la fotografia, da una parte, come strumento per riconnettersi ad un padre assente e, dall’altra, per scandagliare fenomenologicamente il processo di ricongiunzione e l’ereditarietà familiare.
In un’edizione ridotta negli spazi espositivi (assente infatti, tra gli altri, Palazzo Magnani dove solitamente venivano ospitati lavori e autori più storicizzati, come Susan Meiselas lo scorso anno) la qualità dei progetti e degli allestimenti, soprattutto ai Chiostri di San Pietro, ha restituito la dirompenza di un’età fragile ma dalla forza assordante. Un consiglio spassionato: migliorare l’allestimento illuminotecnico porterebbe benefici importanti per la fruizione delle mostre.
Altri articoli dell'autore
In occasione del festival Fotografia Europea 2025, la Collezione Maramotti ospita la più importante mostra dell’artista olandese mai realizzata in Italia
A Roma, il maestro della fotografia, entra in conversazione con l’archivio dell’Aerofototeca Nazionale conservato presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
Dal 24 aprile torna a Reggio Emilia il festival dedicato all’ottava arte, quest’anno con un focus sulla fine dell’innocenza e il primo assaggio di libertà. Ce ne parla il cocuratore Tim Clark
Da Vienna a San Francisco, passando per Zurigo, tre mostre per tre personali di altrettanti fotografi annoverati tra i più accreditati del panorama fotografico internazionale