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Claudio Majorana, «Mal de Mer, Lithuania, 2022»

© Claudio Majorana / Cesura

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Claudio Majorana, «Mal de Mer, Lithuania, 2022»

© Claudio Majorana / Cesura

Fotografia Europea, la ventenne che riflette sulla giovinezza

Dal 24 aprile torna a Reggio Emilia il festival dedicato all’ottava arte, quest’anno con un focus sulla fine dell’innocenza e il primo assaggio di libertà. Ce ne parla il cocuratore Tim Clark

Francesca Orsi

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Che cosa vuol dire avere vent’anni? È questo che si chiede la XX edizione di Fotografia Europea (a Reggio Emilia dal 24 aprile all’8 giugno) e i suoi curatori Tim Clark, Walter Guadagnini e Luce Lebart. Attraverso un’eterogeneità di voci e di immagini, la manifestazione cerca di trasmettere le contingenze del momento, o meglio come questa giovane generazione le vive e le percepisce. Ma non sembra essere solo la rappresentazione dell’oggi ad interessare, bensì la rappresentazione del concetto di «essere giovani», di «avere vent’anni» nel mondo, con il suo processo di formazione identitaria e di grandi domande che accompagnano la crescita e il diventare adulti, indipendentemente dal periodo storico in cui si vive e dal luogo di provenienza. Ne abbiamo parlato con il cocuratore del festival Tim Clark.

Da che cosa nasce la decisione del tema «Avere vent’anni»?
Quella del 2025 è la ventesima edizione del festival. Inevitabilmente, il raggiungimento di questa importante pietra miliare ha portato a un momento di riflessione, non tanto sul passare del tempo quanto piuttosto sul concetto di giovinezza. Nelle prime conversazioni del nostro team, per dare avvio ai lavori, abbiamo tratto ispirazione da una citazione di Paul Nizan, che, in Aden Arabia (1961), ha scritto: «Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la migliore età della vita». Questo è stato il punto di partenza. Abbiamo successivamente riflettuto su come, nella biografia di una persona, i vent’anni segnino la linea d’ombra, la fine dell’innocenza e, allo stesso tempo, offrano un primo assaggio di libertà e indipendenza. È il momento in cui le identità prendono davvero forma e, in questo, il senso di appartenenza conta molto. A vent’anni pulsi di energia e del potere dei sogni. Puoi ancora diventare qualsiasi cosa, ma ti rendi conto di essere, in qualche modo, solo, lontano dal mondo e dalla protezione della famiglia o dalla tua eredità. E così abbiamo intrapreso la nostra indagine su cosa poteva significare essere un giovane nel mondo di oggi e su come la fotografia può essere utilizzata per dare forma a tale ricerca; pensando a idee e immagini di amore, lavoro, relazioni, connessione, solitudine, sviluppi della tecnologia e l’impatto dei social media; per non parlare della lotta per la giustizia sociale e ambientale. Questi sono solo alcuni dei temi che abbiamo cercato di far emergere attraverso la nostra curatela e la collaborazione con gli artisti. La giovinezza è un periodo così complesso e contraddittorio, segnato dalla scoperta di sé, dall’idealismo, dall’incertezza, dalla resilienza e da un potenziale sconfinato. È anche universale ma profondamente personale.

Ci racconta brevemente alcuni lavori scelti?
Il festival vuole mettere in luce un panorama vario: dai ritratti spontanei e momenti di tenerezza, come il lavoro di Claudio Majorana scattato a Vilnius, in Lituania, alle rappresentazioni dinamiche dell’attivismo che ha portato alla rivolta storica del popolo iraniano nel 2022, raccontato dal lavoro di Ghazal Golshiri e Marie Sumalla. I lavori selezionati ci offrono scorci di giovani che navigano nei mondi, sfidando lo status quo e alzando la voce, in un’epoca di vasta trasformazione globale. È una specie di danza tra il collettivo e l’intimo, la storia e l’esperienza privata. Vogliamo celebrare questa fase complessa e pulsante della vita.

Relativamente al tema, si intuisce che oltre ad una questione rappresentativa ne avete fatto anche un focus anagrafico per scegliere gli autori stessi, quasi tutti appartenenti a quella generazione. Questa decisione che apporto ha dato alla narrazione del festival?
Ogni corpus di opere è un evento fotografico. Vogliamo avvicinarci alla creazione di qualcosa di simile a una poesia che si rifletta sia dentro che fuori dal tempo, nello stesso momento, registrando la sensazione mutevole e misteriosa di essere vivi, da giovani, nelle società di tutto il mondo odierno. I progetti che abbiamo selezionato sono storie familiari, sospese, fedeli al sentimento e alla presenza, hanno a che fare con il lirismo dei sogni applicato alle vite e ai paesaggi. Tuttavia, l’esperienza della giovinezza è anche visceralmente percepita attraverso gli incontri con la modernità, con le dure realtà politiche e ambientali, con tutte le sfide che le giovani generazioni affrontano in relazione al cambiamento climatico o agli effetti della repressione. Crediamo che riflettere su questo spaccato filosofico e politico sia necessario per costruire un ritratto forte (e si spera emozionante) della giovinezza.

Matylda Niżegorodcew, con «Octopus’s Diary», e Michele Borzoni e Rocco Rorandelli, con «Silent Spring», sono i vincitori dell’open call del festival. Può dirci qualcosa di più sul loro lavoro?
Matylda Niżegorodcew è una giovanissima artista visiva polacca, ancora studentessa di fotografia alla Film School di Łódź. È stata selezionata per il suo progetto «Octopus's Diary», pieno di freschezza, ingegno e attitudine. Il suo è un lavoro ibrido che combina il bianco e nero e il documentario soggettivo con elementi di performance, per esplorare temi quali l’identità, la connessione e la vulnerabilità. Cercando individui in cui ritrovare le qualità che desidera e di cui sente la mancanza, si cala nella loro vita per 48 ore: «Indosso i loro vestiti, dormo nei loro letti, mi infilo nella loro esistenza per vedere com’è vivere la loro vita. Mi avvicino abbastanza da rimuovere tutti i filtri e provare l’assurda, paradossale esperienza di essere qualcun altro. Confronto l’immaginato con la realtà. Documento l’intero processo: io e il mio soggetto in questa esperienza. Gli lascio anche la macchina fotografica in modo che possa filtrare questo esperimento attraverso i propri occhi e distorcere la prospettiva». Il risultato è un archivio esistenziale ma giocoso di immagini che palpitano di umanità e di infinite possibilità. Uno sguardo bidirezionale che coinvolge il vedere se stessi attraverso gli occhi degli altri. Poi abbiamo «Silent Spring» di Michele Borzoni e Rocco Rorandelli, collettivo italiano TerraProject, un insieme di fotografie documentarie realizzate tra il 2021 e il 2024 che ritraggono giovani attivisti ambientalisti in tutta Europa. Mentre le condizioni meteorologiche estreme diventano la nuova norma (dai devastanti incendi boschivi a Los Angeles alle inondazioni torrenziali a Valencia, dalle temperature di allerta rossa di 47 °C in India alla quantità di un anno di pioggia in sole 24 ore negli Emirati Arabi), il loro lavoro parla dell’urgente necessità di rivendicare il potere di fronte al collasso degli ecosistemi. Uno sguardo al nostro futuro ecologico condiviso, forse.

Marie Sumalla & Ghazal Golshiri, «A young woman without a hijab stands on a vehicle as thousands of people make their way to the Aychi cemetery, to commemorate the 40th day of Mahsa Amini’s death, in Saqqez, her hometown in Iranian Kurdistan. Muslim tradition celebrates this date as the day of the soul’s passage to the afterlife, and the end of mourning, Saggez, Iranian Kurdistan, October 26, 2022». © Anonymous Author

Francesca Orsi, 23 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

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