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Lavinia Trivulzio
Leggi i suoi articoliTempo, luce e natura sono le tre chiavi di lettura per comprendere il laboratorio creativo di Sam Falls. Ruinart presenta l'artista americano classe 1984 per Conversations with Nature 2025 nello stand della maison ad Art Basel Miami Beach. Conversare con la natura è da sempre parte integrante della storia del primo champagne del mondo. Da quasi tre secoli la storica realtà francese osserva, ascolta e impara dal vivente. La flora, il suolo e i loro ritmi hanno guidato il savoir-faire dei maestri dello chardonnay, impegnati in un rapporto rispettoso e continuo con l’ambiente. Con la serie Conversations with Nature, Ruinart affida ogni anno a un artista il compito di interpretare questa relazione, invitando a condividere una visione capace di unire poesia e impegno. L’arte diventa così un linguaggio prezioso per diffondere messaggi e sensibilità sul tema della biodiversità. Per il ciclo 2025, Ruinart accoglie l’artista statunitense Sam Falls, noto per opere create in diretto dialogo con gli elementi naturali, e lo porta sotto il sole della Florida. I suoi lavori nascono dal contatto con il luogo: veri e propri “ritratti botanici” realizzati con materiali organici raccolti in situ. Lo abbiamo incontrato.
Ruinart ha scelto te per questa edizione di Conversations with Nature. Cosa significa per te “conversare con la natura”?
Per me significa prima di tutto ascoltare. La natura non è un soggetto da rappresentare, ma un interlocutore con cui instaurare un dialogo costante. Nei miei lavori luce, pioggia, vento, pigmenti e materiali organici diventano veri e propri co-autori. Credo che l’arte possa rafforzare il nostro rapporto con il mondo naturale e favorire un’attenzione più consapevole verso ciò che ci circonda.
Come sei arrivato a sviluppare questa pratica così particolare, che coinvolge gli elementi naturali?
È avvenuto in due momenti distinti. Il primo, quando trovai casualmente un foglio scolorito dal sole: capii che la luce poteva “dipingere” senza intervento meccanico. Il secondo, quando iniziai a usare la pioggia come agente creativo; fu una rivelazione. Da lì ho abbandonato gli strumenti fotografici tradizionali e ho cominciato a lasciare che il tempo atmosferico fosse parte attiva del processo.
Qual è esattamente il ruolo delle piante nei tuoi lavori? Sono semplici materiali o qualcosa di più?
Sono presenze. Le piante sono state lì, nello stesso luogo in cui mi trovavo io, esposte agli stessi elementi. Quando le dispongo sul tessuto, non cerco una riproduzione botanica, ma un’impronta del luogo. Una sorta di “citazione” del paesaggio. Raccolgo ciò che incontro: foglie, felci, rami, erbe. La composizione avviene direttamente sul campo, è il risultato di una giornata di osservazione e movimento nello spazio.
Come funziona tecnicamente il tuo processo?
Lavoro con grandi tele. Stendo le piante sul tessuto, poi lancio i pigmenti in aria: la loro caduta crea composizioni imprevedibili. Quando piove, l’umidità attiva il colore e lo spinge a diffondersi; nei giorni secchi ottengo invece bordi più definiti. È una collaborazione continua con gli elementi, un equilibrio tra controllo e imprevedibilità.
Molti tuoi lavori sembrano combinare natura e riferimenti alla storia dell’arte. È intenzionale?
Assolutamente sì. Il mio linguaggio nasce da un insieme di influenze: simbolismo botanico, storia della fotografia, arte astratta, ma anche forme e riferimenti al corpo umano. Ogni opera è un sistema di rimandi, così come ogni ecosistema è una rete di relazioni.
Che cosa ti ha colpito del terroir di Ruinart, in particolare del vigneto di Taissy dove hai lavorato?
Taissy è un luogo particolare: un vigneto storico, ma anche un laboratorio di biodiversità. Ho raccolto sia elementi della vigna sia piante spontanee reintrodotte per rigenerare il suolo. L’opera è un ritratto botanico del luogo, un documento diretto della sua vitalità.
La composizione finale presenta forme oblunghe, quasi architettoniche. Da cosa derivano?
Mi hanno ispirato le vetrate della cattedrale di Reims e l’architettura delle crayères, le antiche cantine sotterranee. Sono forme che appartengono alla storia del territorio e richiamano anche l’idea di luce filtrata, di tempo sedimentato. Mi interessava unire natura, memoria e architettura in un’unica immagine.
Ruinart ha una lunga tradizione di collaborazione con gli artisti. Come ti inserisci in questa storia?
La Maison ha sempre usato l’arte come strumento per raccontare i propri valori, dalla Belle Époque alle commissioni più recenti. Condividiamo la stessa attenzione per i materiali, per la trasformazione, per il legame con il territorio. Lavorare qui, in un luogo dove sostenibilità e storia convivono, è stato naturale.
Portrait of Sam Falls in the historic vineyard of Maison Ruinart in Taissy 2024. Foto: Alice Jacquemin
Portrait of Sam Falls in the historic vineyard of Maison Ruinart in Taissy 2024. Foto: Alice Jacquemin
Portrait of Sam Falls in the historic vineyard of Maison Ruinart in Taissy 2024. Foto: Alice Jacquemin
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