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Leonardo Cremonini, «Les pierres et la peau », 1978-1981.

Courtesy Galerie T&L, Paris.

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Leonardo Cremonini, «Les pierres et la peau », 1978-1981.

Courtesy Galerie T&L, Paris.

Tra porte socchiuse e terrazze che affacciano su mari piatti. La magia sospesa di Leonardo Cremonini a Ginevra

La Galerie T&L porta nella Vieille-Ville di Ginevra un’esposizione dedicata a Leonardo Cremonini per il centenario della sua nascita, in collaborazione con Artpassions. In mostra – fino all’11 dicembre –  piccoli formati, acquerelli e dipinti dagli anni ’50 agli anni ’90, insieme a opere presentate da Jan Krugier – mercante di Picasso e Modigliani – nelle storiche esposizioni del 1975 e del 1996


 

Nicoletta Biglietti

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Ginevra, per due mesi, diventa il luogo in cui l’opera di Leonardo Cremonini riprende fiato. Non una commemorazione, ma un corpo a corpo con un artista che ha attraversato il Novecento senza mai appartenere davvero a nessuna delle sue etichette. Non impressionista, non surrealista, non metafisico: Cremonini sfugge ai recinti della critica come le sue figure sfuggono all’immobilità della scena. La Galerie T&L occupa la Vieille-Ville come si occupa un set cinematografico: ogni stanza è un varco, ogni quadro un’inquadratura che ti cattura prima ancora che tu capisca perché.

E mentre lo spazio si rimodella attorno alle sue immagini, la sua storia riaffiora. Nato a Bologna nel 1925, cresciuto nella luce meridionale della Calabria, formato tra Bologna, Brera e Venezia, cresciuto accanto a maestri, amici, poeti, fotografi, filosofi: Protti, Sironi, Plattner, Dario Fo, Cartier-Bresson. Poi Parigi, dal 1951, scelta non come rifugio ma come campo di battaglia. È lì che la sua pittura cambia pelle: dagli anni Cinquanta in poi, la materia si ispessisce, il colore si fa unitario, la linea mediterranea continua a presidiare la forma. E proprio negli anni in cui le neoavanguardie teorizzano la fine della pittura, Cremonini fa dell’immagine un enigma da decifrare, un linguaggio segreto che ha affascinato scrittori e filosofi – da Eco a Moravia, da Calvino ad Althusser – più ancora che i critici tradizionali.

La mostra di Ginevra entra in questo laboratorio mentale. Non c’è distanza museale, non c’è celebrazione: si entra in una mente che pensa per spazi, per tagli, per crepe narrative. I piccoli formati – tavole, cartoni, acquerelli – diventano detonatori visivi, lampi di un immaginario che non ha mai smesso di interrogare il rapporto fra corpo e ambiente. I grandi formati dilatano la tensione, i piccoli la contraggono: insieme pulsano, come se tutta la sua opera fosse un’unica lunga sequenza tra montaggio e controcampo. E poi il cortocircuito: le opere esposte da Jan Krugier nel ’75 e nel ’96 ricompaiono. Non come reliquie, ma come ritorni che chiedono di essere guardati di nuovo. Oggi, più che mai, sembrano vive, appuntite, interrogative. In esse si riconosce quella fase matura che dagli anni Sessanta agli anni Settanta ha costruito l’alfabeto più celebre di Cremonini: porte socchiuse, corridoi che si allungano, terrazze che affacciano su mari piatti, specchi che non restituiscono identità, figure sospese in una pittura che è realistica e insieme malinconica, ferma eppure inquieta.

La mostra non racconta solo un artista: racconta una fedeltà. Quella di un pittore che, pur premiato ed esposto in molti palcoscenici importanti – Venezia, San Marino, Tokyo, Parigi, Milano, Bologna, Praga – non ha mai ceduto alle mode, né agli sperimentalismi decostruttivi, né ai minimalismi concettuali che popolavano gli stessi anni della sua ascesa. Cremonini rimane sempre altrove, in quell’altrove che ha sedotto generazioni di scrittori. La sua forza sta nel taglio, nell’angolo morto, nella distanza tra il corpo e lo spazio che lo contiene o lo respinge. Ogni opera è una scena, ma anche una domanda. E in questa mostra, forse più che in altre, tutto vibra della stessa ossessione: quel punto in cui l’immagine si incrina appena e lascia filtrare un’altra possibilità dello sguardo.


 

Nicoletta Biglietti, 21 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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