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Una sala del Museo Bailo. Foto Marco Zanta

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Una sala del Museo Bailo. Foto Marco Zanta

Treviso, dopo dodici anni riapre il Museo Bailo

Veronica Rodenigo

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Treviso. Riapre finalmente al pubblico domani alle 18.30, dopo 12 anni di chiusura di cui circa due e mezzo di cantiere il Civico Museo Luigi Bailoche porta il nome dell’abate a cui si deve il primo nucleo delle raccolte cittadine.
Fondato nel 1879 come Museo Trivigiano, aperto nel 1888 e in parte ricostruito in seguito al secondo conflitto mondiale, il complesso d’origine monastica era stato precluso al pubblico nel 2003 a causa di criticità strutturali e inadeguatezza impiantistica.
Oggi, grazie a un finanziamento europeo di circa 3,3 milioni ai quali si devono aggiungere gli 1,7 reperiti dal Comune, una prima porzione (il chiostro sud e il primo piano) accoglie le collezioni di Otto e Novecento trevigianosu progetto di Marco Rapposelli, Piero Puggina (Studio Mas, Padova) e Heinz Tesar, sviluppato in stretto dialogo con il piano museologico (Maria Elisabetta Gerhardinger, Emilio Lippi, Eugenio Manzato, Marta Mazza e Nico Stringa). In tutto oltre 300 opere per una superficie complessiva di 1.800 metri quadrati, tra spazi dedicati a collezione permanente, mostre temporanee, sala polivalente, uffici e depositi.
Elemento caratterizzante: la nuova facciata totalmente ridisegnata e contrassegnata da duplici aperture che, instaurando un dialogo con gli ambienti, consente anche al passante di scorgere nel chiostro il gruppo scultoreo dell’«Adamo ed Eva» di Arturo Martini (1931), appositamente ricollocato.
All’interno, il percorso articolato in 6 sezioni e 21 ambienti, prende avvio al primo piano con l’Arte a Treviso tra 1870 e il 1945: un iter che parte dall’Italia postunitaria con la ritrattistica (Luigi Serena, Giovanni Apollonio), la vita dal vero, i paesaggi dei Ciardi (Guglielmo, Emma e Beppe) per poi passare alle tecniche scultoree e allacciarsi alle prime esperienze giovanili di Arturo Martini, cittadino illustre attorno all’opera del quale ruota, in un gioco d’intersezioni, l’intero concept allestitivo. Sugli esercizi di stile d’un Martini ancora diciottenne (terrecotte e gessi) irrompe la svolta che su di lui eserciterà il viaggio a Monaco di Baviera simboleggiata in mostra dalla «Maternità» (1910) e la cui cifra stilistica viene ripresa anche nella produzione ceramica, allestita in una rispondenza dialogica con Gino Rossi per sottolinearne la reciproca influenza. Un teoria in cui spicca il «Michel Carion Marinaio» (1909) concesso in comodato da Nico Stringa.
Incedendo, il percorso conduce al prototipo in gesso della martiniana «Fanciulla piena d’amore» (1913) che risalta nella soluzione allestitiva d’una campitura in oro (acciaio galvanizzato in un gioco di supefici lucidi e opache) e che al contempo costituisce il fulcro della sezione dedicata agli anni della «Secessione» di Ca’ Pesaro (1909-1913) nonché ai rappresentanti autoctoni di quella stagione.
Dopo le sale dedicate agli artisti a Treviso nel periodo tra le Due Guerre (tra cui Nino Springolo, Bepi Fabiano, Lino Bianchi Barriviera, Giovanni Barbisan), il visitatore viene condotto al pianoterra per incontrare nuovamente la produzione scultorea martiniana degli anni Venti, Trenta e Quaranta (si vedano «La Pisana» del 1928)o la grande terracotta della «Venere dei Porti» ,1932) senza tralasciarne le esperienze di disegno, grafica e pittura.
A chiudere, un focus sulla gipsoteca di Carlo Conte e un’ultima sala interamente riservata alla scuola d’incisione trevigiana con vedute della città del Sile realizzate da Arturo Malossi e Giovanni Barbisan.
Per festeggiare l’avvenimento, il rinnovato museo (all’inaugurazione del quale è previsto l’arrivo del ministro Franceschini) resterà accessibile gratuitamente sino al 31 ottobre, data in cui aprirà anche la mostra su Escher a Santa Caterina in aggiunta a quella su El Greco a Ca’ dei Carraresi. A tal proposito, la metamorfosi di Santa Caterina a contenitore espositivo temporaneo può dirsi oramai compiuta. Al primo piano rimarrà per ora disallestita la galleria centrale in attesa che la Soprintendenza si pronunci in merito a uno dei piani museologici inviati mentre alla collezione permanente della pinacoteca rimarranno dedicate quattro sole sale.

Il Museo Bailo a Treviso. Foto Marco Zanta

Il Museo Bailo a Treviso. Foto Marco Zanta

La facciata del Museo Bailo a Treviso. Foto Marco Zanta

Una sala del Museo Bailo. Foto Marco Zanta

Veronica Rodenigo, 29 ottobre 2015 | © Riproduzione riservata

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