Luca Beatrice
Leggi i suoi articoliLo scudetto vinto dopo 33 lunghi anni ha oscurato un’altra impresa in quel di Napoli. Il famoso scultore autodidatta Jago, apprezzato in particolare dal pubblico generalista e meno dagli addetti ai lavori, ha aperto il suo «museo» nella Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, rione Sanità. Dal 20 maggio scorso può così esporre le proprie opere, visualizzatissime sui social che a quanto pare misurano la temperatura per un successo autentico e non filtrato dalla critica e dai «soliti giochi» di consorterie.
Ci ho provato tante volte a osservarne le sculture per cercare di capire che cosa proprio non mi piacesse di loro: sono stucchevoli, noiose, rigide, non elaborano una visione del mondo che non sia il semplice virtuosismo, non c’è progetto e dunque non mi interessano. Però tra gli ammiratori si nascondono molti insospettabili, d’altra parte c’è chi preferisce Mahmood e l’autotune rispetto ai gorgheggi celesti di Tom Yorke, voce dei Radiohead. Non puoi fargliene una colpa, però sei libero di affermare che la persona in questione non capisce niente di arte contemporanea.
Gusti a parte, andrebbe spiegata a Jago la differenza tra un museo e uno showroom. Nel primo caso c’è una collezione, pubblica o privata, raccolta dopo anni, decenni, secoli, di studio e di ricerca, quindi affidata alla comunità come patrimonio condiviso; nel secondo caso, c'è uno spazio dove esporre e mettere in vendita le proprie opere, mostrandosi così indipendente dal sistema.
Anche se luogo prestigioso ed elegante, resta pur sempre un negozio. Non bisogna confondere la terminologia perché poi le persone non hanno chiare le differenze: Sant’Aspreno ai Crociferi sarà meta turistica che incuriosisce le masse, però non sarà mai un museo. Resta invece l’atelier di Jago generosamente aperto al pubblico, meglio se disposto a spendere cifre considerevoli.
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