Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliLe due tranche di sei opere di Egon Schiele, passate in asta il 9 e l’11 novembre da Christie’s a New York, hanno totalizzato 19,7 milioni di dollari. Un esito ragguardevole e un nuovo precedente per questi lavori oggetto di una causa in territorio statunitense intentata dagli eredi del cabarettista e collezionista austriaco Fritz Grünbaum, dopo averne ottenuta la restituzione da diversi musei, fra cui il Museum of Modern Art di New York, per «Donna in piedi (Prostituta)» del 1912, il Santa Barbara Museum of Art, «Ritratto di Edith Schiele» del 1915, e la Collezione Ronald Lauder, «Ich liebe Gegensätze», un autoritratto creato il 24 aprile 1912, quando Schiele era in carcere con l’accusa di pedofilia. L’acquerello ha spuntato il miglior esito: 10,99 milioni di dollari.
Queste prime tre opere hanno raccolto 16,5 milioni di dollari, mentre «Ritratto di bambino» (1910), «Ritratto di Edith Schiele» (1915) e «Donna seduta» (1910) sono passati di mano per 3,2 milioni di dollari. Come già altre vendite da restituzioni a eredi di Grünbaum, anche queste ultime continueranno ad occupare le cronache del mondo dell’arte, visto che nel mirino vi sono anche due opere dell’Albertina e dieci del Leopold Museum. Gli eredi e i loro avvocati concordano con la tesi secondo cui la collezione dell’uomo di spettacolo austriaco è da considerarsi razziata, anche se mancano documenti che provino confische, vendite al ribasso e passaggi in asta per esempio da Dorotheum, dove allora veniva immessa sul mercato larga parte delle opere con cui i nazisti facevano cassa.
Gli eredi tuttavia non riconoscono la procura alla moglie, firmata da Grünbaum il 16 luglio 1938 dal campo di concentramento di Dachau, dove era prigioniero. Con quell’atto formale, la tutela legale della collezione passava alla consorte Elisabeth. Ciò renderebbe dubbia una coercizione del detenuto, che avrebbe semmai sortito una confisca o una vendita forzata. Nella dichiarazione patrimoniale del 1939 la donna indicò la collezione, per la quale l’8 settembre 1938 aveva ottenuto un permesso di esportazione della durata di tre mesi, che non compare nella dichiarazione patrimoniale dell’anno 1941, dopo la morte del marito. Questo potrebbe aprire diverse ipotesi, ma tende a escludere una confisca, dato che mancano documenti che la provino, anche se lo storico dell’arte nazista Franz Kieslinger (1891-1955) aveva approntato una stima delle 446 opere della collezione, valutandole 5.791 Reichsmark (oggi circa 30mila euro).
Escludendo una conseguente vendita da Dorotheum, è possibile la conservazione della collezione in qualche luogo sicuro in patria o all’estero, ovvero la sua parziale, magari progressiva vendita o cessione per vie non ufficiali, forse anche per ottenere vantaggi in termini di sicurezza personale. È stato comunque accertato che negli anni ’50, dopo che la consorte Grünbaum era deceduta in campo di concentramento (nel 1942), sua sorella Mathilde Lukacs aveva venduto in varie tranche ben documentate alla galleria elvetica Klipstein & Kornfeld di Berna 113 opere dalla collezione del cognato, di cui 80 di Schiele che a quel tempo raggiungeva quotazioni modeste.
Che cosa sia accaduto al resto della collezione non è stato ancora scoperto, ma la sua iscrizione nei registri di arte razziata ha reso arduo farla eventualmente riemergere sul mercato, in mancanza di accordi con gli eredi. Come già in precedenza, ancora una volta nella provenienza indicata da Christie’s manca il nome di Mathilde Lukacs: dopo Grünbaum («spoliato dopo il 1938»), il passaggio successivo indica la galleria elvetica Gutekunst & Klipstein (1956) come proprietaria delle opere passate in asta.
Gli eredi hanno annunciato di voler far confluire parte dei ricavi in un programma di borse di studio per giovani musicisti, intitolato a Fritz Grünbaum.
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