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Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliLa capitale austriaca detiene da dieci anni consecutivi la palma di città più «vivibile», che la società di consulenza Mercer assegna ogni anno scegliendo tra 231 metropoli del pianeta. E negli ultimi anni l’hanno premiata pure «The Economist» e «Condé Nast Traveler».
Quella di oggi è una città tutta diversa dal periodo della lunga, grigia Guerra Fredda, quando era un magnete più che altro per spie di ogni nazione, conduceva una vita sociale da bella addormentata e ai turisti medi proponeva evergreen del suo glorioso passato, puntando soprattuto sugli Asburgo, Sissi, Schönbrunn e Mozart, capaci di splendere anche sotto la spessa patina del tempo.
Dal punto di vista della vita in città, fino alla seconda metà degli anni Ottanta Vienna era più simile alle capitali d’oltrecortina: solo un po’ più agiata e più libera, ma con una mentalità diffusamente chiusa e diffidente.
Nel 1984 arrivò però sulla scena politica locale il socialdemocratico Helmut Zilk, già assessore municipale alla Cultura e quindi ministro alla Cultura. Restò primo cittadino di Vienna per dieci anni e la ribaltò, spolverandola, svegliandola dal suo torpore, recuperando aree sottoutilizzate, agevolando la nascita di una moltitudine di istituzioni culturali, favorendo una disinvolta contiguità di persone e iniziative disparate, pompando soldi ed energie in una sorta di rifondazione culturale. Un benefico tornado.
Certo la caduta della cortina di ferro creò una altrettanto salutare corrente d’aria nell’atmosfera un po’ stantia che aveva dominato oltre quattro decenni e, con la possibilità di un tranquillo andirivieni alle sue frontiere orientali, Vienna ritrovò anche l’ambizione di essere capitale e motore della Mitteleuropa. E si rimboccò le maniche.
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