Carla Cerutti
Leggi i suoi articoliBella, gentile, preparata: così ricordo Daniela Balzaretti fin dai primi contatti negli anni Settanta, quando iniziò ad occuparsi di arti applicate, pittura e scultura tra fine Otto e inizio Novecento nella sua galleria, prima a Bergamo poi a Milano in via Solferino, diventando presto un punto di riferimento, insieme a pochi altri studiosi come Rossana Bossaglia, Mapi Maino e Irene de Guttry, per chi, come me, era interessato a quel settore.
Sempre disponibile, seppur schiva e riservata, professionalmente precisa e ineccepibile, in circa cinquant’anni di attività ha contribuito sostanzialmente, con mostre e pubblicazioni, alla conoscenza approfondita di molti artisti italiani rimasti nell’ombra, come Umberto Bellotto e Vittorio Zecchin, Adolfo De Carolis, Cambellotti e la sua cerchia, Arrigo Minerbi, Cornelio Ghiretti, Carlo Bugatti e Federico Tesio, per non parlare di Wildt cui dedicò la sua attenzione in tempi non sospetti.
Il figlio Vassili Balocco, che l’ha affiancata per circa vent’anni, ricorda come alla Mostra Internazionale dell’Antiquariato di Milano del 1988 la madre avesse allestito uno stand solo con sculture, atto coraggioso perché controcorrente, come la maggior parte delle sue scelte che miravano più alla qualità dell’opera che alla sua firma.«La gente si fermava perplessa davanti allo stand e sembrava non avesse il coraggio di entrare», ricorda Vassili.
Tra le prime ad occuparsi, negli anni Settanta, della produzione francese di vetri Art Nouveau e Déco, oltre alle avanguardie russe e allo Jugendstil, Daniela Balzaretti si era progressivamente interessata alla scultura e alle arti applicate italiane del XX secolo, trovando in Italia, ma soprattutto all’estero, estimatori e acquirenti, sia pubblici che privati. Scrupolosa nella ricerca e disponibile nei confronti degli studiosi e degli appassionati del settore, Daniela Balzaretti ha lasciato, con la sua repentina scomparsa avvenuta a Milano lo scorso 26 luglio, un grande vuoto.
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