Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliSoddisfazione generale alla chiusura della 41ma ARCOmadrid, la prima edizione post pandemica ha fatto tirare un sospiro di sollievo al mondo dell’arte spagnolo, le vendite di ARCO rappresentano infatti il 60% del fatturato totale dell’anno.
La pittura trionfa, la fotografia si mantiene, sparisce il video, le installazioni hanno una presenza minima e gli Nft fanno timidamente capolino. Non ci sono stati scandali o polemiche di peso e «Cerrar para abrir» (Chiudere per aprire) il raccapricciante video (4.500 euro) dell’operazione in cui l’artista peruviana Wynnie Mynerva si fa suturare tre quarti della vagina, nonostante la violenza implicita, è stato poco più che un aneddoto.
«Non mi serve e mi ha dato più problemi che altro» assicurava la giovane artista a proposito della sua vagina, mentre la notizia dell’invasione dell’Ucraina la scalzava dall’interesse mediatico più rapidamente del previsto.
L’eco dei bombardamenti su Kiev arrivava attutito nei grandi capannoni, dove esponevano 185 gallerie, un po’ meno del soloto, «per volontà, non per necessità», diceva Maribel López, direttrice di ARCO.
Nel 1991 la guerra del Golfo, scoppiata in piena fiera, aveva inferto un duro colpo alle gallerie spagnole. «Il denaro è codardo e pauroso», dichiarava la collezionista Lola Garrido a «La Vanguardia», ma non tutti sono d’accordo. Alcuni, come il gallerista catalano Marc Domènech, vedono nel conflitto: «un’occasione per investire in arte, un solido valore di rifugio, quando i mercati stanno crollando».
«Tutto è connesso, ma non credo che la guerra in Ucraina possa provocare una caduta delle vendite», assicurava Jordi Mayoral, che esponeva un’opera di Tàpies da un milione di euro. L’opera più cara dell’edizione, un Miró da 2,8 milioni, l’ha portata ancora una volta Lelong, affiancato da Leandro Navarro con un altro Miró del 1973 da 2 milioni e uno spettacolare ritratto di Chagall da 600mila euro.
Nonostante fossero meno di altri anni, le gallerie italiane tornano a casa particolarmente contente. «La fiera è andata molto bene, abbiamo venduto i lavori di entrambe le artiste, abbiamo conosciuto nuovi collezionisti, ma soprattutto curatori internazionali e direttori di diverse istituzioni e musei di riferimento», afferma Agnieszka Fąferek, una delle due giovani proprietarie di eastcontemporary, che esponeva opere della libica Nour Jaouda e della polacca Ania Bąk, tra i 2mila e i 15mila euro. La galleria inaugurata a Milano in piena pandemia ha anche vinto il premio del migliore stand di OPENING by Allianz, lo spazio riservato a 15 gallerie emergenti scelte da Övül Ö. Durmusoglu e Julia Morandeira, in cui si presentava anche Una Galleria di Piacenza. Inoltre un’opera di Nour Jaouda è stata acquistata dalla Fondazione ARCO per essere depositata nel Museo CA2M Centro de Arte Dos de Mayo di Móstoles (Madrid).
«Il mercato dell’arte è abbastanza elitario da non aver sofferto più di tanto per la pandemia, ma la gente era stufa delle fiere online. ARCO è andata bene specialmente i primi due giorni, con vendite di Carlos Garaicoa e José Yaque» dichiara Veronica Siciliani, direttrice della sede romana della galleris Continua, che con 7 sedi è diventata una vera multinazionale dell’arte. La Siciliani ricorda anche «il notevole interesse istituzionale per il progetto di Jonathas de Andrade, presentato nella sezione latino americana», che in effetti è stato molto elogiato e fotografato.
L’unica ad accogliere il suggerimento dell’organizzazione di partecipare con solo uno o due artisti è stata la galleria P420, con un solo show di Irma Blank, a cui il centro d’arte Bomba Gens di Valenza ha recentemente dedicato un’antologica.
«Quest’anno la fiera è stata molto visitata e abbiamo riscontrato grande fermento. Il nostro progetto “Painting is a Mental Thing” proponeva un dialogo ideale tra una serie di acqueforti di Giorgio Morandi e oli su lino di piccolo formato di Alain Urrutia, un giovane pittore spagnolo che a novembre avrà la sua prima personale in Italia, nella nostra galleria» spiega Michael Biasi, direttore della galleria MAAB di Milano, tornato ad ARCO nonostante la prima esperienza non proprio felice, dell’edizione del 2021.
Dopo più di 20 anni ad ARCO, il fedelissimo Studio Trisorio sa che cosa aspettarsi dalla fiera: «Sono stati particolarmente apprezzati i lavori di Rebecca Horn (180mila euro), che a marzo esponiamo in galleria, Francesco Arena, Christiane Löhr, Fabrizio Corneli e Umberto Manzo (36mila euro)», assicurava Laura Trisorio.
Eduardo Secci di Firenze, reduce dal successo ottenuto nella fiera messicana Zona Maco, partecipava con uno stand di artisti affermati e giovani promesse tra cui l’ucraina Daria Dmytrenko.
Deluso e anche abbastanza seccato Giorgio Persano, l’unico italiano presente nella sezione commemorativa 40+1 con un igloo di Mario Merz (venduto alla Fondazione Helga de Alvear) e una scultura degli anni ’80 di Susanna Solano: «Non mi spiego come abbiano potuto dedicare alla mostra del 40mo anniversario uno spazio così piccolo e mal situato. Ho dovuto eliminare una parete, perché diversamente non avrei neanche potuto montare le opere», affermava il gallerista, in uno stand con opere di Per Barclay, Herbert Brandl, Mario Merz, Julião Sarmento (150mila euro) e con gli ultimi quadri specchiati di Michelangelo Pistoletto (550mila euro), di cui ad aprile doveva inaugurare una grande mostra a Mosca, per il momento in stand by.
ARCO 2023 si terrà dal 22 al 26 di febbraio e sarà dedicato al Mediterraneo.
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