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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliChe il mercato del contemporaneo stia viaggiando a ritmi elevatissimi e che anche quella del 2015, svoltasi dal 18 al 21 giugno, sarebbe stata per Art Basel un’edizione di successo lo si è visto dal primo giorno della fiera.
Mentre Leonardo Di Caprio indugiava tra un busto in bronzo di Giacometti, i Picasso esposti da Nahmad (opere dagli anni Trenta agli anni Settanta con prezzi dai 6,7 ai 14 milioni di euro, ma anche un Jean Dubuffet del ’63, «La Route du Pas-de-Calais», venduto a 5,3 milioni di euro, contro i 577.595 dollari pagati in asta dieci anni fa per la stessa opera) e un Jasper Johns da Matthew Marks, Van der Weghe vendeva a circa 5 milioni di euro una tela di Christopher Wool; allo stesso prezzo prendeva il volo un Keith Haring del 1984 nello stand della Skarstedt Gallery, che in seguito cedeva a circa 5 milioni di dollari una scultura del ’98 di Thomas Schütte.
Ma per tornare a Picasso, a poche ore dall’apertura Eleanor Acquavella annunciava una vendita importante, mantenendo però il segreto sull’opera e sul compratore. Semprea a proposito di avanguardie storiche, un piccolo «Autoportrait de profil» di Marcel Duchamp figurava tra i bollini rossi nel box della Galerie 1900-2000 di Parigi, mentre un estimatore del Secessionismo viennese si portava a casa per un prezzo tra i 220mila e i 270mila euro un disegno di Egon Schiele offerto da Richard Nagy.
Alla Pace, intanto, mietevano successi opere di Rauschenberg realizzate tra gli anni Ottanta e Novanta e offerte dai 400mila ai 900mila euro. I giorni successivi confermavano le premesse. Otteneva eccellenti risultati la pittura. Oltre ai 5,3 milioni di euro pagati per un dipinto di Joan Mitchell a Cheim & Read, da segnalare tre protagonisti dell’attuale Biennale di Venezia: Hauser & Wirth vendevano «O.K. Corral» del 2008 di Ellen Gallagher, una tecnica mista che aveva un cartellino di 450mila euro (ma nello stesso stand erano 2,5 milioni di euro versati per «White Snow, Bambi», un marmo di Paul McCarthy); da David Zwirner un grande formato di Marlene Dumas, «Helena» del 2002, otteneva 3,1 milioni di euro (stesso prezzo pagato, nel medesimo stand, per un Polke del 1974), mentre 223mila euro erano la cifra pagata per un Oscar Murillo del 2014.
Ancora da Zwirner, e sempre a proposito di pittura, «Mountain II» del 1966 di Agnes Martin trovava un compratore a 8,5 milioni di euro e a 1,8 milioni veniva venduto un olio di Luc Tuymans. L’opera più cara venduta dal gallerista newyorkese (ma il prezzo è rimasto top secret) era però una scultura di Donald Judd del 1987. Gli anni Settanta e i primi Ottanta erano fra i periodi più premiati dalle vendite. In quella cronologia si collocano anche tre opere di Lee Ufan offerte con successo da Blum & Poe: prezzi dai 800mila dollari a 9,8 milioni di euro.
Una «lavagna» di Beuys, con 900mila euro, era tra le vendite più remunerative di Thaddaeus Ropac, mentre Marianne Boesky vendeva tre opere di Pier Paolo Calzolari che avevano cartellini dai 150mila ai 750mila euro. A proposito di italiani, Hauser & Wirth festeggiavano con la vendita di «Il cinema» di Fausto Melotti l’accordo raggiunto per rappresentarne in esclusiva l’eredità e un Fontana del 1955 otteneva circa 360mila euro nello stand di Mitchell-Innes & Nash.
La Biennale di Venezia, quest’anno, ha dato molto spazio alla fotografia. A Basilea, la Fraenkel Gallery vendeva un ritratto dei Beatles scattato da Richard Avedon nel 1967 per 490mila euro, un paesaggio di Hiroshi Sugimoto a 358mila euro e una foto di Diane Arbus stimata dall’autrice tra il 1966 e il 1968 a 170mila euro. Un fotografo «biennalista» è Andreas Gursky, di cui Sprüth Magers vendeva a 900mila euro «Katar», una stampa del 2012.
Gli italiani fanno i conti
Quest’anno c’era molta attesa per la nuova disposizione degli stand, ordinati secondo una topografia coerente con la cronologia rappresentata dalle diverse gallerie, cosa che incontrava il gradimento di Giò Marconi, direttore di una delle 15 gallerie italiane presenti: «L’organizzazione ha dato un’altra configurazione all’allestimento, ha lasciato le gallerie che si occupano di moderno più vicine, ad esempio, e secondo me è stata una buona scelta da parte del comitato. Il mercato è forte. Ho venduto molto bene Nathalie Djuberg, Hans Berg e Alex da Corte, di cui avevo appena fatto una mostra. In generale hanno tenuto bene anche i prezzi di fascia più alta».Buoni risultati anche per Raffaella Cortese: «Basilea rimane sempre la prima fiera a livello internazionale. Noi abbiamo questo stand nella sezione Feature con due artisti, James Welling e Zoe Leonard. Entrambi gli artisti hanno avuto molto successo, grande l’interesse da parte di curatori, direttori di museo e addetti ai lavori. In particolare abbiamo avuto un buon volume di vendita delle vintage prints di James Welling, delle fotografie di piccolo formato scattate e stampate nella seconda metà degli anni ’70, molto preziose e ricercate. I prezzi sono inferiori ai 10mila euro».
Mentre Franco Noero vendeva un’opera di Sam Falls esposta nella sezione «Unlimited», dedicata alle opere di formato e di impegno «museali», Massimo Minini dichiarava la sua soddisfazione: «Va bene, molto bene. Sto vendendo molto Ariel Schlesinger, Ettore Spalletti, Dan Grahm e Luigi Ghirri».
Al termine della fiera, Mario Cristiani della Galleria Continua stilava in questi termini il suo bilancio: «Anche per noi Art Basel è andata bene e siamo contenti dei risultati ottenuti. Abbiamo venduto artisti dei cinque continenti, visto che sia in stand sia ad Unlimited, abbiamo proposto opere di artisti provenienti da India, Africa, Cina, Europa».
«Ancora una volta la fiera di Basilea ha dimostrato di essere un appuntamento di rilievo primario per collezionisti privati e istituzioni pubbliche che desiderino valutare le offerte delle gallerie più qualificate oggi provenienti, nella quasi totalità, dagli Stati Uniti e dall’Europa, visto che gli operatori asiatici preferiscono concentrare i loro sforzi in occasione di Art Basel Hong Kong in marzo, concludeva Massimo Di Carlo della Galleria dello Scudo di Verona. Gli esiti di mercato sono stati senz’altro soddisfacenti. Ad Art Basel la Galleria dello Scudo da sempre presenta esclusivamente arte italiana del Novecento, da De Chirico a Morandi, da Fontana a Manzoni, da Burri a Vedova. Le transazioni si svolgono sulle opere di questi autori, le cui quotazioni di mercato sono ben note. Il collezionismo è particolarmente esigente, alla ricerca di lavori i cui prezzi sono rapportati all’alta qualità. La fascia entro la quale si conclude il maggior numero di vendite si può determinare tra 200mila e 500mila euro, pur con picchi oltre il milione per opere di particolare rarità».
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