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Il porto franco del Lussemburgo

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Il porto franco del Lussemburgo

Il Parlamento Europeo contro i porti franchi

I depositi (semi)permanenti di opere d'arte sono considerati un terreno fertile per il riciclaggio di denaro sporco e l’evasione fiscale

Il Parlamento Europeo vuole intensificare la lotta contro il presunto riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale attraverso l’uso dei porti franchi, magazzini di alta sicurezza che custodiscono, esentasse, arte e altri beni preziosi come automobili, vino e gioielli. In una lettera dell’8 gennaio, l’eurodeputato tedesco Wolf Klinz ha invitato il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker a colmare le lacune in materia, per arginare il possibile verificarsi di reati finanziari. Riferendosi in particolare a Le Freeport Luxembourg, che ha aperto le porte ai banchieri vip, ai mercanti d’arte e ai collezionisti nell’agosto 2014, Klinz afferma che questo deposito «è considerato un terreno fertile per il riciclaggio di denaro sporco e l’evasione fiscale».

Klinz ha descritto Le Freeport, che si trova a pochi minuti dall’aeroporto di Findel e ospita otto showroom, un laboratorio di restauro e un garage per auto da collezione, come un «punto cieco» nella politica di Juncker a favore della trasparenza finanziaria all’interno dell’Ue. Il complesso, costruito mentre Juncker era il primo ministro del Lussemburgo, permette ai clienti di far arrivare in volo i loro beni e commerciarli all’interno del porto franco senza incorrere in dazi doganali o in tasse sulla vendita. Juncker ha risposto alla lettera di Klinz spiegando di aver trasmesso le sue preoccupazioni in materia a Pierre Moscovici, il commissario europeo per gli affari economici e finanziari.

Nel frattempo, una portavoce di Le Freeport ha dichiarato che la struttura di massima sicurezza «è conforme alla legge anti riciclaggio del Lussemburgo ed è controllata al 100% dalle dogane del Paese», rimandando al Ministero delle Finanze olandese per ulteriori domande. Un rapporto commissionato dal comitato Tax3 dell’Ue, di cui Klinz è membro e che si occupa di reati finanziari, evasione ed elusione fiscali, e pubblicato a ottobre dallo European Parliamentary Research Service (Eprs), individua Le Freeport per due ragioni. In primo luogo, utilizzando lo stesso modello del porto franco di Ginevra, la struttura del Lussemburgo «mira al deposito (semi)permanente di opere d’arte, una novità nell’Ue», spiega Ron Korver, analista politico belga e autore del rapporto.

I porti franchi in origine erano pensati come spazi per depositare i beni in transito, ma ora si rivolgono a un nuovo tipo di collezionista: «chi non si sente al sicuro a tenere i propri beni in casa e cerca un deposito sicuro e segreto, e chi colleziona arte come puro investimento». L’ascesa dell’arte come investimento finanziario ha contribuito a un forte aumento dei porti franchi: da meno di 100 nel 1975 a circa 3mila in 135 Paesi nel 2018, secondo la Financial Action Task Force. Altri fattori includono una repressione da parte dei governi sul segreto bancario e l’evasione fiscale. Il riciclaggio di denaro nell’Ue è stimato in 110 miliardi di euro l’anno. In secondo luogo, a seguito di una valutazione del rischio nazionale, a luglio del 2015, quasi cinque anni prima che diventasse obbligatorio, i legislatori del Lussemburgo hanno deciso di inserire i porti franchi nella legge nazionale antiriciclaggio. La legislazione entrerà in vigore in tutta l’Ue a gennaio 2020. Questo significa che i porti franchi sono tenuti a identificare il titolare effettivo dei beni immagazzinati: i proprietari non possono più rivolgersi a società offshore, trust, avvocati o gallerie per «nascondere» le loro proprietà.

Questa decisione «ha significativamente diminuito l’ambiguità operativa di Le Freeport», spiega Klinz nella sua lettera. Infatti, nel rapporto Eprs, un rappresentante di uno degli operatori autorizzati di Le Freeport, scrive: «In passato abbiamo avuto molte gallerie come clienti, ma oggi questo difficilmente è possibile, poiché i loro clienti amano la privacy e sono riluttanti a fornire i propri dati. Lo stesso vale per i mercanti». L’aggiornamento obbligatorio dei dati è costato all’operatore 20-30 clienti di lunga data, molti dei quali sono società offshore di Hong Kong, che hanno «deciso di rivolgersi ad altri porti franchi dove vige una politica di maggior discrezione».

Nonostante l’inasprimento delle normative, Klinz ritiene che «il percorso verso una regolamentazione adeguata rimanga lungo e difficile». I governi dovranno comunque fare affidamento sui porti franchi, riferendo sulle transazioni sospette e sulla cooperazione transfrontaliera. La lettera di Klinz rivela che l’unità di intelligence finanziaria del Lussemburgo è «dolorosamente sotto organico», con appena 16 effettivi che gestiscono 20mila segnalazioni di attività sospette presentate da Le Freeport e da altri intermediari finanziari nel 2017. «Mi sembra evidente che il rischio di mantenere una struttura con la reputazione di Le Freeport all’interno del territorio doganale dell’Ue potrebbe superare di gran lunga i benefici», conclude Klinz.
 

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Anny Shaw, 22 marzo 2019 | © Riproduzione riservata

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Il Parlamento Europeo contro i porti franchi | Anny Shaw

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