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Giusi Diana
Leggi i suoi articoliVilla Deliella, opera di Ernesto Basile del 1905, venne demolita in una sola notte nel 1959 (poco prima che entrasse in vigore il vincolo monumentale): oggi potrebbe diventare un museo del Liberty con gli 8mila disegni del suo architetto
Nottetempo tra il 28 e il 29 novembre 1959 nel capoluogo siciliano si compiva un delitto destinato a diventare simbolo tragico di malaffare e corruzione: l’abbattimento di Villa Deliella costruita tra il 1905 e il 1907, capolavoro liberty di Ernesto Basile.
Non si salvò nulla dell’edificio a due piani caratterizzato dalla svettante torretta angolare che si ergeva poco sopra il giardino d’inverno. Villa Deliella con le sue maioliche, i fregi, i ferri battuti, la boiserie, gli arredi, le tappezzerie, perfino il suo giardino vennero cancellati in una notte, lasciando un terribile vuoto proprio nello snodo più elegante della città di primo Novecento, piazza Francesco Crispi (nota come piazza delle Croci), dove l’asse di via Libertà prosegue costeggiando il Giardino Inglese.
Ad autorizzare quello scempio fu il Comune di Palermo guidato dal democristiano Salvo Lima; l’assessore ai Lavori Pubblici era Vito Ciancimino che concesse in fretta e furia il permesso lo stesso giorno della demolizione, il 28 novembre. Perché tanta fretta?
Nel 1954 la villa era stata vincolata dalla Soprintendenza ai Beni culturali, ma tre anni dopo il Consiglio di Stato revocò il vincolo perché l’opera non aveva ancora compiuto cinquant’anni. Intanto nel Piano regolatore del 1956 l’area era stata vincolata a verde pubblico, ma nel fatidico 1959 il Piano venne rielaborato e da verde pubblico passò a privato. Bisognava quindi agire subito, perché quello stesso anno, allo scoccare dei 50 anni, la villa sarebbe stata posta sotto il vincolo storico-monumentale integrale.
Il destino di Villa Deliella, di proprietà del principe Franco Lanza di Scalea, era ormai segnato, e arrivarono impietosi i picconi. Bruno Zevi sul «L’Espresso» parlò di «un atto di banditismo di nuovo tipo» e nel 1971 ricostruì la vicenda tragica in Cronache di Architettura (Laterza), entrando a pieno titolo nella cronaca nera di quegli anni. La speculazione edilizia, che aveva portato alla demolizione di altri innumerevoli edifici liberty (sempre di Ernesto Basile, ad esempio i villini Fassini e Ugo) per fare posto ai condomini del boom economico degli anni ’60, nel caso di Villa Deliella non potè avvenire, anche per il clamore e le polemiche suscitate dalla demolizione, tanto che i componenti del Comitato di redazione del Piano regolatore si dimisero in blocco.
Al posto della villa distrutta che faceva da quinta alla piazza, oggi non c’è un condominio come è avvenuto in altri casi, ma una selva di cartelloni pubblicitari, mentre nell’area di proprietà privata sorge un autolavaggio; dell’antico splendore rimangono solo brevi tratti della cancellata in ferro battuto. Fin qui la cronaca di un delitto, ma quella storia, con il suo complesso di colpa che è rimasto impresso nella memoria collettiva, è tornata in questi giorni a fare discutere animatamente architetti, urbanisti, storici dell’arte e non solo.
«Effetto Basile» (come Gaudí a Barcellona)
Danilo Maniscalco e Giulia Argiroffi sono i due architetti che hanno lanciato una petizione online con la singolare proposta di ricostruire Villa Deliella; l’iniziativa a sorpresa ha visto l’adesione di architetti come Cesare Ajroldi (che ricorda il precedente del teatro La Fenice di Venezia, ricostruito filologicamente) e Iano Monaco (che parla della necessità di scelte forti, come sarebbe stata quella di ricostruire le torri gemelle di New York com’erano), storici dell’arte come Maria Antonietta Spadaro, scrittori come Santo Piazzese, ex dirigenti della Soprintendenza come Matteo Scognamiglio.Tra gli intervenuti all’incontro nella sede dell’Ance, l’associazione dei costruttori di Confindustria che ha sposato l’iniziativa, anche l’urbanista Maurizio Carta e il docente Ettore Sessa che, pur professandosi «agnostico», ha tenuto una lezione mostrando diverse immagini di opere di Ernesto Basile distrutte o sopravvissute.
Maniscalco e Argiroffi parlano di «effetto Basile», che potrebbe replicare a Palermo quanto accaduto a Barcellona con Gaudì. Si dovrebbe però ripartire dalla ferita più grande, proprio quella villa distrutta divenuta simbolo del cosiddetto Sacco di Palermo. «Un atto etico, come a Dresda, a Mostar... Non una copia, non un falso, bensì un progetto critico espressione contemporanea di una rinnovata sensibilità», come si legge nella petizione su change.org.
La proprietà dell’area è ancora oggi privata ma, come sottolineano Maniscalco e Argiroffi, «viene attualmente utilizzata come parcheggio-autolavaggio in difformità alle prescrizioni vigenti del Piano regolatore generale, dove è destinata ad “attrezzature museali, culturali ed espositive”».
Qual è dunque l’ipotesi del progetto? «La ricostruzione della villa, spiegano, immaginiamo debba avvenire fedelmente ai disegni esecutivi esistenti presso la Fondazione Basile, almeno per la parte che riguarda le quinte urbane. Rappresenterà di fatto la “porta di ingresso” a un museo del Liberty che sarà in parte ipogeo; con la completa ciclo-pedonalizzazione delle due piazze Croci e Mordini, il museo si estenderebbe infatti nell’area sottostante, mentre al di sotto della piazza Mordini si potrà realizzare un parcheggio. Con un Accordo di Programma, in cambio di una permuta dell’area privata che passerebbe al Comune, la gestione del parcheggio sotterraneo verrebbe concessa agli eredi dei Lanza come risarcimento. Il museo ospiterebbe gli 8mila disegni, progetti e schizzi della Fondazione Basile».
Le reazioni non si sono fatte attendere. La prima è che si tratterebbe di un «falso storico», e che sarebbe impossibile trovare le maestranze per ripristinare quel modello architettonico-decorativo pressocché unico. L’effetto Las Vegas con un involucro finto a fare da quinta urbana è il pericolo che intravede Rosanna Pirajno di «Salvare Palermo» («la Repubblica-Palermo», 3 dicembre), mentre per Tomaso Montanari, sullo stesso giornale tre giorni dopo, «ricostruire Villa Deliella com’era e dov’era è un’idea generosa e civile. Ma avrebbe avuto veramente senso nel 1959».
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