È curata da Maria Holtrop e Charles Kang «Point of View», mostra estiva che dal 5 luglio al primo settembre, nell’ambito del progetto di ricerca «Women of Rijksmuseum», il grande museo olandese dedica al concetto di genere nel corso dei secoli. 150 opere appartenenti alle collezioni vengono rilette in un vasto progetto di inclusione, perseguito negli ultimi anni dal Rijksmuseum, che mira a inglobare e valorizzare narrazioni «altre» come appunto quelle femminili o proprie delle minoranze culturali ed etniche.
«Il tema gender è oggi di estrema attualità, afferma Holtrop. Tutti ci stiamo chiedendo che cosa sia veramente l’identità di genere e dato che al Rijksmuseum disponiamo di collezioni ricchissime, possiamo offrire molti esempi di che cosa fosse e come venisse considerata in passato. La mostra si struttura in 10 sale, ognuna delle quali parte da una precisa domanda a cui noi stessi vorremmo trovare risposta. Ad esempio, se esistano atteggiamenti, pose e oggetti tipicamente maschili, o un’arte specificamente femminile». «Un quesito interessante è se gli oggetti abbiano una connotazione di genere, precisa Kang. Chiaramente no, però, per esempio in italiano e francese, non esiste il neutro e quindi gli oggetti diventano maschili o femminili, come accade in italiano con “la tavola”. Analogamente ci sono oggetti e caratteristiche che sono sempre serviti a definire l’identità di genere. Ad esempio, i ritratti maschili venivano quasi sempre realizzati al centro di stanze ampie e riccamente decorate, e mostrano libri o carte geografiche. Quelli femminili invece mostrano spazi più piccoli e privati, dalle pareti non decorate, con scatole e scaffali per lettere e documenti più minuti».
Tra gli highlights spiccano un ritratto di Guglielmo d’Orange all’età di quattro anni che indossa una gonna, un vistoso stuzzicadenti d’oro a forma di drago e un bicchiere decorato con galli che si accoppiano, mentre tra gli artisti compaiono Gesina ter Borch, Marlene Dumas, Bartholomeus van der Helst, Kinke Kooi, Robert Mapplethorpe, Erwin Olaf, Maria Roosen, Charley Toorop e Sara Troost. «Un personaggio molto interessante è stata Cristina di Svezia, continua Kang, perché nei ritratti che ci sono pervenuti la sua forte personalità supera i criteri di un’identità binaria definita. Il problema è che non possiamo tornare indietro nel tempo e chiederle come si vedesse veramente, dato che si fece ritrarre sia come la dea della guerra Minerva, sia come Cesare o un imperatore romano, con i capelli corti e la corona. Cristina dunque giocava in modi complessi e affascinanti con la propria imagine, e la manipolava sotto il profilo sociale e mediatico in modo non diverso da quelli di oggi. Anche i gioielli costituiscono un’interessante testimonianza di genere. In generale, quando vediamo qualcosa di piccolo e prezioso, brillante e molto decorato pensiamo subito alla sfera femminile, ma in realtà nel corso della storia gli uomini li hanno indossati tanto quanto le donne».
«Se guardiamo al passato ci accorgiamo che i concetti di maschile e femminile non erano per niente fissi o rigidi, ma sono cambiati da epoca a epoca, da persona a persona, da cultura a cultura, spiega Holtrop. Per esempio abbiamo dedicato una sala alla tipica posa del ritratto con la mano appoggiata sul fianco. Oggi è considerata molto femminile e moderna, ma soprattutto nel Seicento olandese veniva vista come assolutamente maschile, in quanto collegata all’idea di controllo e all’ipermascolino mondo militare. Esponiamo però anche documenti che testimoniano approcci più giocosi e ironici come la fotografia di inizio ’900 di Willem Hendrik Dikkenberg che rappresenta “Ragazze vestite con costumi militari, baffi finti, sigarette e stivali” o esempi appartenenti al mondo del teatro, in cui gli attori che recitavano vestiti da donna erano considerati eccitanti, ma anche pericolosi. Un aspetto interessante è infatti capire quale fosse il limite, e quando dal gioco si scivolasse in una sfera considerata più pericolosa».