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Un particolare del «Cristo coronato di spine» della Banca Popolare di Vicenza, attribuito a Caravaggio da Mina Gregori nel 1976

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Un particolare del «Cristo coronato di spine» della Banca Popolare di Vicenza, attribuito a Caravaggio da Mina Gregori nel 1976

Il controverso «Cristo coronato di spine» di Caravaggio

Secondo lo storico dell’arte Alessandro Zuccari, che ha valutato 300 milioni di euro il dipinto murale caravaggesco di Villa Ludovisi, il quadro della Banca Popolare di Vicenza non è del Merisi

Arabella Cifani

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I quadri di Caravaggio danno spesso luogo a zuffe attributive, a duelli sanguinosi del tipo di quelli nel quale il pittore, come noto, era specialista. Per stare solo agli ultimi anni ricordiamo nel 2014 l’apparizione miracolosa in una soffitta a Tolosa di un dipinto caravaggesco che Eric Tarquin e il Ministère de la Culture attribuirono al Merisi. Valutato 150 milioni di euro, è stato venduto in trattativa privata ed è di nuovo scomparso nelle pieghe del collezionismo. Non era opera di Caravaggio, secondo molti fra i più eminenti studiosi del pittore, ma di un suo allievo francese: Louis Finson.

L’anno scorso è toccato a un «Ecce Homo», apparso in Spagna. «Il Giornale dell’Arte» ha dedicato ampio spazio a questo dipinto, sul quale molti storici dell’arte sono concordi per un’attribuzione a Caravaggio, e non è poco. Scende ora nell’arena del mercato un nuovo dipinto caravaggesco: il «Cristo coronato di spine» della Banca Popolare di Vicenza.

Di questo quadro, per il quale si è anche ipotizzata una provenienza dalle collezioni dei principi Massimo, si conosce un tratto di storia. Nel 1916 entra a far pare delle raccolte di Angelo Cecconi, uno dei primi collezionisti italiani di pittura seicentesca, allora non generalmente ritenuta un categoria molto desiderabile. Roberto Longhi lo vide nel 1916 e lo ritenne una copia antica o derivante da un originale perduto del Merisi, con conferme nel 1928 e 1943, ma nel 1951, dopo un restauro, cambiò idea e pensò potesse essere attribuito al maestro. Anche Matteo Marangoni nel 1922 lo attribuì a Caravaggio.

Nel 1976 Mina Gregori lo pubblicò come opera di Caravaggio su «The Burlington Magazine» e rimase poi ferma su questo pensiero in studi seguenti. Nel 1971 il quadro fu acquistato dalla Cassa di Risparmio di Prato e nel 2010 quando la Banca Popolare di Vicenza ha inglobato la Banca di Prato il quadro è passato nuovamente di proprietà. La Banca Popolare di Vicenza è ora in liquidazione coatta amministrativa, con tutte le sue collezioni che andranno in vendita per risanare i buchi di bilancio. Fra i molti pregevoli pezzi destinati al mercato, il presunto Caravaggio farà certamente la parte del leone.

Abbiamo chiesto un parere sul dipinto delle collezioni della Banca Popolare di Vicenza al professore Alessandro Zuccari, ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università della Sapienza di Roma, socio dell’Accademia dei Lincei, che a Caravaggio e al suo tempo ha dedicato numerosi studi e che ha recentemente curato per il tribunale di Roma la perizia sul valore del Casino dell’Aurora, in particolare sul celebre affresco di Caravaggio che vi si trova. Zuccari sottolinea come «la gestione dei patrimoni artistici delle piccole banche sia diventata una questione molto complessa».

Che cosa pensa del dipinto?
Quando lo vide Longhi affermò: «È una copia di un Caravaggio perduto». Marangoni, subito dopo nel 1922, lo riconobbe come autografo. Nel 1971 fu acquistato dalla Cassa di Risparmio di Prato e la banca lo fece restaurare da Thomas Schneider, che io ho conosciuto a Siracusa e Malta per un convegno nel 1985. Schneider giurava che fosse un Caravaggio autentico perché vide i pentimenti, riscontrò le molte somiglianze stilistiche con opere autografe. Il quadro prima del restauro era molto ridipinto.

È emerso altro da quel restauro?
Venne fuori una materia pittorica che mostrava sia una composizione sia una qualità superiore a quello che si immaginava. Visto il quadro dopo il restauro la Gregori disse: «Ma è il Caravaggio!».

Quindi Longhi la riteneva una copia e la Gregori un originale.
Già, però Marangoni aveva fatto fin dalle origini l’ipotesi Caravaggio.

Un quadro molto dibattuto.
Molto. Quando ancora molto giovane lo vidi a una mostra tenutasi fra Napoli e New York e mi dissi: «Ah, che bella composizione. Però non mi convince del tutto». Poi l’ho rivisto anche in seguito, in realtà è molto probabile che sia una replica de «L’incoronazione di spine» che Caravaggio realizzò prima dell’estate 1605 per i principi Massimo, di cui adesso il discendente ha fatto una tesi proprio sul probabile committente.

Lui potrebbe avere avuto fonti privilegiate.
Certo. È andato a cercare negli archivi di famiglia, ma non ha trovato altre cose. In realtà, ed è una cosa molto interessante, c’è un documento del 25 giugno 1605 che dice che Caravaggio si impegna a realizzare «Un quadro di valore e grandezza come quello che io gli feci già della Incoronazione di Cristo per il primo agosto 1605». Cioè Caravaggio si impegna il 25 giugno a dipingere un quadro della stessa grandezza e valore di quello che già gli fece.

Sempre per i principi Massimo?
Sì. È un documento trovato dalla Barbiellini Amidei nel 1987 (pubblicato nel 1989). Quindi abbiamo una prova che testimonia che esisteva un’«Incoronazione di spine»; peraltro noi sappiamo dalle fonti che avrebbe fatto anche un «Ecce Homo» che probabilmente è quello per cui si impegna. Ma in realtà questo «Ecce Homo», identificato da Longhi in quello di Genova, secondo me non è originale, anche perché non corrispondono le misure.

Intende l’«Ecce Homo» custodito a Palazzo Bianco a Genova?
Sì. Anche quello un quadro discusso; certamente un bel quadro, mal restaurato, ma che non è di Caravaggio. Non funziona. In tutta questa storia intricata noi sappiamo che c’è un’«Incoronazione di spine» dipinta dal Caravaggio, un «Ecce Homo» che Caravaggio si impegna a dipingere e che io penso non abbia mai dipinto; sappiamo che Caravaggio si impegnava e poi a volte non lavorava. Quindi, più che cercare l’«Ecce Homo», che probabilmente è stato rimpiazzato da quello del Cigoli nel 1607, bisogna cercare l’originale perduto dell’«Incoronazione di spine» che deve aver fatto veramente. Ma non è quella di Vicenza.

Perché?
Perché l’opera di Vicenza propone una composizione molto originale e molto caravaggesca. La figura del Cristo è di straordinaria invenzione, con il viso dall’espressione intensa, con le braccia incrociate all’altezza del polso, con una mano che sporge come se uscisse dal limite della tela. Un contrasto chiaroscurale tipicamente caravaggesco. Eppure a questa figura così potente non corrispondono quella dei tre aguzzini.

Sono di qualità inferiore gli aguzzini?
Sì, in particolare il giovane di spalle sul proscenio è molto fiacco. Non ha la forza plastica del Cristo, delle figure del Caravaggio in quel momento particolare: 1604-05. Sembra ritagliata. Così pure le altre due: l’aguzzino di sinistra con la veste rosso scuro ha una fattura piuttosto rozza.

Quindi il problema è la qualità dell’opera. Qual è la sua conclusione?
Si vende un quadro attribuito al Caravaggio che vari studiosi, invece, respingono come autografo.

Questo presunto Caravaggio si va ad aggiungere alla serie di attribuzioni clamorose destinate alla stampa e alle televisioni.
Sì. La «Giuditta» di Tolosa, nonostante illustri e autorevoli pareri, non è affatto di Caravaggio. Sembra «finsoniana», forse, insomma, è Finson che finge molto bene di fare Caravaggio. E sembra che il prezzo a cui è stata venduta sia superiore ai 100 milioni di euro, forse 153 milioni.

Quadri come questo finiscono sul mercato e chi li ha comprati vuole che siano di Caravaggio, il che genera putiferi economici e di attribuzione.
Vero! In quest’ottica il quadro di Vicenza è molto interessante; è un documento, che probabilmente restituisce l’immagine giusta, di un perduto originale. Ma non è di Caravaggio. E non va valutato come Caravaggio, ma come la copia fatta da un pittore capace, perché la figura del Cristo è indubbiamente ben riuscita, ma l’opera non può essere equiparata alle stime che vengono attribuite al Caravaggio senza più freno, senza più limite. Anche se io stesso ho valutato 300 milioni il dipinto murale di Caravaggio di Villa Ludovisi.

Un’opera documentata.
Sì. È l’unico dipinto murale di Caravaggio al mondo e si trova vicino agli affreschi e dipinti murali di Guercino, di Domenichino, Agostino Tassi, Paul Bril.

È un posto magico, speriamo che non sia venduto a un privato, ma che diventi fruibile per tutti.
L’asta andrà deserta, poi si passerà a trattative private. O la comprerà lo Stato o una cordata di donatori che poi si accorderà per un suo uso congruo. Ma secondo me lo Stato non deve spendere per il Casino, è meglio che li usi per le molte opere d’arte pericolanti e a rischio crolli.

In conclusione, lei ritiene che l'«Incoronazione di spine» non sia di Caravaggio.
Sì, ma bisogna considerare che è un ottimo dipinto, di grande interesse storico e artistico.

Quanto può valere?
Non lo voglio dire, perché non lo so.

Alessandro Zuccari, , ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università della Sapienza di Roma, socio dell’Accademia dei Lincei

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Arabella Cifani, 14 febbraio 2022 | © Riproduzione riservata

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