Libri, tanti libri, ovunque. È questo, in fondo, più ancora delle architetture che dichiarano, seppure sobriamente, la ricchezza di chi le ha abitate, dei bei mobili di famiglia patinati dal tempo, delle collezioni di piccoli cimeli trasmesse da generazioni ma anche delle collezioni importanti di dipinti, disegni, oggetti d’arte il filo che lega le due nuove case milanesi (Casa Crespi, in via Andrea Verga, e Casa Livio-Grandi, in via Olivetani) che il Fai-Fondo per l’Ambiente Italiano ha appena acquisito, ognuna accompagnata da una sostanziosa dote, e che aprirà al pubblico nel 2026.
Si aggiungeranno a Villa Necchi Campiglio, anch’essa del Fai, con le sue meravigliose collezioni, e alla rete delle case museo milanesi (dal Museo Poldi Pezzoli al Bagatti Valsecchi alla Casa museo Boschi Di Stefano) e diventeranno due musei. Non solo musei di sé stesse, in quanto documenti di quello stile di vita fatto di solida cultura, di curiosità intellettuali e di generosità civile che era (e talora ancora è) proprio della migliore borghesia lombarda, ma perché in Casa Crespi troverà posto la Collezione Bagutta (la parte più significativa è pubblicata, a cura di Elena Pontiggia, nel volume Allemandi «Bagutta 1927-1967»), interamente acquisita e donata al Fai da Gianfelice Rocca e dalla moglie Martina Fiocchi Rocca.
E in casa Livio-Grandi, acquisita dall’industriale tessile Riccardo Livio poco prima degli anni ’20 e passata per eredità alla famiglia Grandi, ci sarà l’importante Collezione Grandi di disegni (da Paolo Veronese a Giocondo Albertolli a Richard Cosway) e antiche incisioni (di Mantegna, Rembrandt, Giambattista Tiepolo e altri), dal ‘400 al primo ‘800, costituita dalla famiglia Grandi, antiquari e collezionisti dal 1810, che sarà il cuore di questa casa-museo, e che costituirà il fondamento della più ampia missione educativa che il Fai si dà, esponendo a rotazione le opere della collezione ma organizzando anche laboratori per educare alla pratica del disegno, oggi così trascurata, e invece strumento indispensabile per capire l’arte.
Quanto a Casa Crespi, ci sarà l’intera collezione dei disegni che decoravano la storica Trattoria Bagutta, chiusa nel 2016, dove nel 1926 Riccardo Bacchelli, con un piccolo gruppo di amici intellettuali, fondò il Premio Bagutta (il più antico Premio letterario italiano), affidando poi all’artista Mario Vellani Marchi il compito di disegnare i fogli per le «serate d’onore» del Premio, che si tenevano qui, con la caricatura del festeggiato e le firme dei presenti: una galleria di figure di spicco del ’900, da de Chirico e De Pisis a Montale, da Carlo Levi a Mario Soldati e Indro Montanelli, ma anche Walter Chiari e Fausto Coppi, che sarà restaurata ed esposta al primo piano, e arricchita da iniziative culturali sulla Milano letteraria e artistica di quegli anni. Ma sarà valorizzata anche, ovviamente, la vocazione musicale di queste stanze abitate fino alla sua scomparsa, quasi centenario nel 2022, dall’avvocato e docente universitario Alberto Crespi e dal fratello Giampaolo, neuropsichiatra, che, con i nipoti, l’hanno voluta donare al Fai.
Giurista illustre (legale, tra gli altri, di Enrico Cuccia) ma anche (e forse soprattutto, ai suoi occhi) eccellente musicista, diplomato già adulto al Conservatorio di Milano ed esecutore all’organo di musica barocca tedesca con una passione speciale per Bach, Alberto Crespi riservò a chi scrive il privilegio di conoscerlo: era il 2017, già molto anziano ma lucidissimo, cortese ma tagliente (non sopportava la «cialtronaggine» e l’improvvisazione del nostro tempo) volle denunciare al «Giornale dell’Arte» lo scarso riguardo con cui, anni dopo la sua donazione, il Museo Diocesano di Milano trattava la sua preziosa collezione di 41 «fondi oro».
Fu allora che, entrando nella bellissima villa urbana (esempio prezioso del gusto «Novecento milanese») fatta costruire dal padre Fausto, industriale, e intoccata dal 1931 quando la famiglia vi entrò, dopo avermi ricevuta nello studio foderato di libri, volle mostrarmi l’imponente organo a 1.500 canne che si era fatto installare in casa («sacrificando un bagno di servizio», precisò): «L’ho installato nel 1966, quando avevo oltre 40 anni e avevo già fatto alcuni anni di avvocatura, mi raccontò. Nel 1974 aggiunsi un’altra tastiera, così acquisì il timbro di un organo barocco, perfetto per suonare Bach».
Una vera gemma, perfettamente funzionante (ha suonato alla presentazione della nuova impresa del Fai) che, con il magnifico Steinway a coda e il raro clavicembalo Neupert, consentirà di dedicare la casa alla musica, educando i bambini (ma non solo) con progetti innovativi curati dalla direttrice culturale Fai, Daniela Bruno, con Ricciarda Belgiojoso. «Musica e disegno, commenta Marco Magnifico: arti ora accantonate, un tempo tanto più riconosciute come elementi fondamentali della educazione di una persona colta e che la scuola di oggi relega tra le discipline secondarie, se non inutili. Il Fai sanerà questo vuoto».
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