Segni di vita da Tamara a Christo

La figura umana e gli alfabeti astratti nelle aste di Dorotheum dal 23 al 25 giugno

Rudolf Wacker, «Natura morta con San Sebastiano», 1927, olio su tavola, 95x61 cm, stima 80-140mila euro. © Dorotheum
Franco Fanelli |

Il filo conduttore delle aste d’arte moderna e contemporanea bandite a fine giugno da Dorotheum potrebbe essere individuato nei diversi modi di interpretare la figura umana. Il 23 giugno tocca al moderno, sotto il titolo «Modello rinascimentale», riferito principalmente a un dipinto di Tamara de Lempicka, «Jeune fille au châle blanc» (1952, stima 80-120mila euro), una sorprendente eccezione nel campionario di morbose e androgine femme fatale scandite tra curve e spigoli Déco. La posa della modella, che di fatale non ha nulla, ne mette in luce un morbido profilo neoquattrocentesco e il candore del panneggio rimanda a un’evidente nostalgia per la classicità europea, negli anni in cui l’artista polacca si era definitivamente trasferita in America.

La floridezza dell’incarnato rende meno improbabile la compresenza in catalogo di quella misteriosa, incompiuta figura con la «Coppia con l’ombrello» (2004) di Fernando Botero (180-260mila). Persino Egon Schiele, in questo contesto, sembra concedersi una pausa dalla spigolosità dei suoi nudi e con il disegno «Donna che si spoglia» del 1917 (180-260mila), tramuta un semplice gesto quotidiano in una sorta di danza da odalisca, come lanciasse un cenno d’intesa a Ingres e a Toulouse-Lautrec. Un giovane ritratto da Guttuso (70-100mila) e la scultura di san Sebastiano rivisitata da Rudolf Wacker, protagonista assoluto della Nuova Oggettività tedesca (80-140mila), sono inclusi in un'ideale galleria di grandi interpreti della figura, tra i quali Franz von Stuck, Gustav Klimt e Pablo Picasso.

Dopo che per secoli i pittori avevano cercato in ogni modo di imitare il vero nei suoi colori e nelle sue forme, facendo del disegno l’invisibile scheletro della composizione, nel XX secolo si affannano a mettere a nudo quell’«anima» fatta di segni, sintetizzando in essi anche il corpo umano. Diventa così un affascinante confronto tra due protagonisti degli anni Ottanta quello proposto da Dorotheum attraverso Keith Haring e la sua piramide istoriata dalle inconfondibili sagome (120-160mila) e A.R. Penck, il più radicale tra i neoespressionisti, che come i maestri tedeschi d’inizio ’900 guarda all’arte primaria e alla pittura rupestre per dar vita a opere come «Kreislauf der Spiele» del 2005 (100-150mila) e «Where I come from» del 1999 (35-50mila). Haring e Penck, graffitisti diversi ma entrambi creatori di «geroglifici moderni», aprono la sezione contemporanea nelle vendite del 24 e 25 giugno. Dal geroglifico all’ideogramma, sino alla creazione di nuovi alfabeti segnici: questo il percorso offerto da un catalogo che risale alla fase in cui il segno è utilizzato dagli artisti prevalentemente in ambito aniconico.

Sono i tempi dell’Informale (Hans Hartung) e del grande Astrattismo italiano, con Sanfilippo (24-32mila euro la stima di un «Senza titolo» del 1960) e Carla Accardi («Integrazione n. 2», 75-100mila). Segni e poi marchi, sigle: ecco allora Schifano, con un’opera della serie «Esso» (45-65mila). Poi il panorama si allarga ad altre modalità di concepire l’arte e i suoi segni, dalla Optical art (Jesus Rafael Soto) all’Happening, con Christo, recentemente scomparso, sino a Hermann Nitsch, con i quale si chiude il cerchio e si torna alla figura, ora intesa come corpo performativo.

© Riproduzione riservata Keith Haring, «Pyramid Sculpture», 1989, alluminio anodizzato, una di 2 prove di stampa (edizione di 15 esemplari + 6 ap), 144x144x75 cm, stima 120-160mila euro. © Dorotheum Tamara de Lempicka, «Jeune fille au châle blanc» (Ragazza con scialle bianco), 1952 ca, olio su tela, 45,7x35,5 cm,  stima 80-120mila euro. © Dorotheum Mario Schifano, «Tutto», 1979-81, smalto su tela, 140x187 cm, stima 45-65mila euro. © Dorotheum
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