Francesca Orsi
Leggi i suoi articoliDall’8 marzo al 14 aprile si svolge la terza edizione della Biennale della Fotografia Femminile di Mantova, a cura di Alessia Locatelli. Un programma eterogeneo che si concentra sulle autrici che hanno indagato il concetto di «privato» nelle accezioni più varie: dalla rappresentazione della dimensione domestica e intima a quella, molto attuale, che fa riflettere sulla privacy, sulla censura e il controllo tecnologico, ma anche su questioni identitarie e di genere, sul digitale e i social network.
Sono dieci le fotografie in mostra e un progetto collettivo: Daria Addabbo con «Drought. No water in the Owens Valley», Luisa Dörr con «Imilla», Kiana Hayeri con «Where prison is a kind of freedom», Esther Hovers con «False Positives», Tamara Merino con «Underland», Thandiwe Muriu con «Camo», Claudia Ruiz Gustafson con «La ciudad en las nubes», Newsha Tavakolian con «And They Laughed At Me», Cammie Toloui con «The Lusty Lady Series», una selezione di foto di Lisetta Carmi. Infine, il progetto collettivo «Photo Requests from Solitary», un lavoro partecipativo realizzato tra i carcerati americani in regime di isolamento e i volontari diventati i loro occhi sul mondo esterno.
Tra le mostre, emerge l’interpretazione più intima di Lisetta Carmi, che entra nelle case e nelle strade di Orgosolo per raccontarne la vita quotidiana; ma anche quella di Luisa Dörr, che narra qualcosa di identitario che sa di privato ma anche di generazionale e storico, fotografando la vita delle Imilla Skate, le skater boliviane che indossano con orgoglio le gonne di zie e nonne per rivendicare le proprie origini indigene. Racconta la sua storia personale Cammie Toloui, che negli anni Novanta, per pagarsi gli studi di fotografia, inizia a lavorare come spogliarellista con l’idea di usare la macchina fotografica come strumento di interazione con i suoi clienti, ritraendoli nella loro performance erotica.
In termini decisamente diversi dal punto di vista narrativo, Esther Hovers analizza lo stato di sorveglianza sull’uomo, negli spazi pubblici da parte delle telecamere, strumenti che scannerizzano il nostro agire per classificarne, lombrosamente, le possibili «intenzioni criminali»; o anche Kiana Hayeri, che racconta la storia di alcune donne afgane costrette a uccidere il marito perché violento e da allora recluse nella prigione femminile di Herat, dove, paradossalmente, hanno ritrovato una loro serenità. Tante storie, tante modalità di narrazione, ma tutte che parlano di una contemporaneità in continuo mutamento, soprattutto se si tratta di definire il concetto di «private».
Altri articoli dell'autore
Alla Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi, un viaggio nei territori di confine francesi dove i flussi migratori lasciano le tracce del loro passaggio
Nel museo newyorkese una retrospettiva sugli ultimi sessant’anni di attività del fotografo e regista nato in Svizzera
Illustrate al Masi Lugano le mete del fotografo rivoluzionario: più che la destinazione fisica di un percorso, erano luoghi concettuali, animati dal lavorio dell’intelletto
Il sentire di Michael Ackerman, Martin Bogren, Lorenzo Castore, Richard Pak e Anders Petersen diventa tangibile e visibile attraverso le loro immagini