Giorgio Guglielmino
Leggi i suoi articoli«Molte opere decorative, pochi gioielli»: così un collezionista inglese ha sintetizzato l’edizione 2024 di Art Basel Hong Kong che si è tenuta dal 26 al 30 marzo. E devo dire che, dopo aver girato in fiera per due giorni, condivido la sua opinione. Non solo, ma i pochi «gioielli» presenti non erano adatti al pubblico orientale. Due esempi su tutti: la Galerie Greta Meert di Bruxelles proponeva un’importante scultura di Carl Andre composta dai suoi usuali parallelepipedi in legno lunga più di 10 metri. Peccato che fosse stretta tra lo stand della galleria e uno dei corridoi senza poter godere dello spazio necessario per respirare (sarebbe stata ideale per lo spazio «Unlimited» a Basilea); Annely Juda, raffinato gallerista inglese, esponeva invece una serie di deliziosi piccoli lavori a matita di Kazimir Malevič, datati tra il 1916 ed il 1919, carte così minute (una croce nera schizzata a matita misurava 7 x 7 cm) da non smuovere le menti e i portafogli dei collezionisti orientali (ogni disegno era offerto a 200mila dollari).
Negli stand «occidentali» si avvertiva una certa indecisione su quali artisti e quali opere esporre con il risultato, frequente, di una certa confusione di proposte. Tra questi galleristi, quelli di peso, inoltre, hanno dato forfait: assenti infatti Marian Goodman e Paula Cooper dagli Stati Uniti e ugualmente assente Frith Street da Londra.
Il numero totale degli espositori è però cresciuto rispetto alla passata edizione. Erano infatti presenti più di 200 gallerie nella sola sezione principale. L’aumento però è stato determinato dall’accresciuta partecipazione di realtà asiatiche, soprattutto cinesi e coreani. D’altra parte anche il pubblico ha seguito la stessa tendenza: si sono visti molti meno collezionisti europei, e soprattutto americani, mentre è fortemente aumentata la presenza di pubblico e collezionisti cinesi, soprattutto dalla Mainland China.
Che cosa hanno acquistato i collezionisti cinesi? Artisti asiatici ma non solo. Tra i grandi nomi occidentali hanno prevalso quelli che per tecnica e uso dei colori sono stati percepiti come più vicini all’estetica orientale. Non a caso Alfonso Artiaco ha venduto quattro gouache di Sol LeWitt le cui linee sinuose si collocano tra l’astratto e il meditativo. Bene anche i lavori su carta di Louise Bourgeois, specialmente quelli dipinti a forti tonalità di rosso, colore tradizionalmente di buon auspicio per i cinesi.
Le gallerie asiatiche sulle opere di artisti occidentali, soprattutto concettuali, erano disposte a forti sconti pur di ravvivare le vendite. La Galleria Kukje di Seul offriva una bella panchetta in marmo bianco di Jenny Holzer con una frase tratta dalla sua serie di «Truismi» a 200mila dollari ma era sufficiente chiacchierare pochi minuti per vedere il prezzo scendere a 160mila.
Chi ha sofferto maggiormente per la mancanza di vendite sono state le gallerie occidentali, alcune delle quali letteralmente non hanno toccato palla. È vero, il mercato in questo momento ha avuto un rallentamento come si vede anche dai risultati delle aste. Ma a Hong Kong, a questo fattore, si è aggiunta la scelta non oculata delle opere proposte. Sono ben lontani gli anni in cui le gallerie occidentali potevano presentare qualunque cosa con la ragionevole certezza di vendere. Adesso no.
Per avere una riprova dello slittamento del mercato verso acquisti asiatici, dovremo attendere Frieze Seul che si terrà dal 4 al 7 settembre prossimo. Verrà confermata la tendenza degli asiatici a comperare solo artisti della loro area e solo selezionatissimi artisti occidentali o in Corea si avrà una fiera di maggiore respiro internazionale? Lo scopriremo a settembre.
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