Matthew Holman
Leggi i suoi articoliFrank Auerbach, scomparso a Londra l’11 novembre, non pensava spesso a come sarebbe stato ricordato. «Quando ero giovane, quando ho iniziato, pensavo, come tutti, che l'obiettivo fosse quello di diventare meraviglioso e di essere famoso, cosa che ormai è completamente svanita, ha dichiarato in un’intervista alla Bbc all’inizio di quest’anno. Se non fossi stato costretto da questa intervista a fare queste dichiarazioni presuntuose e pretenziose, sarei rimasto innocentemente a sgobbare nella stanza accanto [con la consapevolezza che] il piacere e il successo stanno nella sensazione di aver fatto qualcosa».
Auerbach era il cliché verace del pittore che ha continuato a dipingere, con poche interruzioni, per otto decimi di secolo. È riuscito a essere una cosa rara: l’artista che si è posto al di fuori del clamore del suo momento e che tuttavia ha prodotto alcune delle osservazioni più durature e perspicaci su che cosa significava essere vivi durante il suo tempo.
Era nato a Berlino il 29 aprile 1931, figlio unico di genitori ebrei anziani, Max, avvocato specializzato in brevetti, e Charlotte, studentessa d’arte lituana. Trascorse i primi anni di vita a Wilmersdorf, un quartiere borghese di Berlino. Dopo l’ascesa al potere di Hitler, gli Auerbach fecero in modo che il figlio di sette anni si trasferisse in Inghilterra; Charlotte cucì una croce rossa sugli oggetti più grandi della sua valigia per indicare che erano per quando sarebbe cresciuto, e due croci per le lenzuola e le tovaglie, per quando si sarebbe sposato. Il passaggio sicuro di Auerbach a Londra non fu assicurato dal «Kindertransport», l’operazione di salvataggio coordinata che portò quasi 10mila bambini, perlopiù ebrei, dai territori europei controllati dai nazisti, ma dalla beneficenza di Iris Origo, la celebre scrittrice anglo-americana residente in Italia.
Frank fu mandato a Bunce Court nel sonnolento villaggio di Otterden, nel Kent, un collegio gestito da quaccheri da lui affettuosamente definito «una piccola repubblica». È qui che si innamora della pittura britannica ed è qui incontra per la prima volta, in un'enciclopedia per bambini di Arthur Mee, una riproduzione in bianco e nero di «La valorosa Téméraire» (1838) di J.M.W. Turner, che gli fa venire voglia di «fare meglio e di essere meno superficiale». I suoi genitori morirono entrambi in un campo di concentramento nel 1942. «Non ne fui mai scioccato o sopraffatto, rifletté molto più tardi, quando mi fu gradualmente comunicato che erano stati uccisi, portati in un campo e uccisi. Non so quale, probabilmente Auschwitz».
Dopo Bunce Court, Auerbach si trasferì a Londra, dove fu sostenuto dalla cugina Gerda Boehm, molto più anziana, che sarebbe diventata una musa importante e il soggetto di molte delle sue prime teste a carboncino, esposte insieme alla Courtauld Gallery all'inizio di quest'anno.
L’influenza di David Bomberg
Auerbach si iscrisse ai corsi d’arte dell’Hampstead Garden Suburb Institute e si dedicò anche alla recitazione, interpretando ruoli nella commedia di Peter Ustinov «The House of Regrets» e in produzioni del radicale 20th Century Theatre di Westbourne Grove. Ma era la pittura che continuava a richiamarlo. Dopo aver trascorso ore e ore a girare per gli ingressi delle scuole d’arte della capitale con il suo portfolio sottobraccio, Auerbach fu accettato al St Martin’s College e al Borough Polytechnic Institute, dove il gentile preside, il signor Patrick, gli preparò una tabella di marcia: «Penso che ti inserirò per un giorno con David Bomberg», come a dire: «Be’, Bomberg è un po’ ostico, ma non si sa mai, potresti andarci d’accordo». L’anziano vorticista Bomberg era in effetti ostico, e durante le lezioni di vita nelle vecchie sale di ingegneria il maestro e l’apprendista si scontravano spesso, ma le tracce dell’influenza iniziale di Bomberg - le sue linee spigolose per la forma umana, le sue osservazioni da outsider della vita britannica – si possono rintracciare in tutta la pratica di Auerbach.
La svolta avvenne nell'estate del 1952, quando realizzò due dipinti formativi. «E.O.W. Nude», che raffigura Estella Olive West, da lui descritta come la sua più grande influenza, durante una seduta difficile in cui trovò in sé «il coraggio sufficiente per ridipingere l’intera opera, da cima a fondo, in modo irrazionale e istintivo». Alla fine, dopo aver rielaborato interamente la tela, «mi accorsi di avere un quadro di lei».Il secondo dipinto epifanico arrivò una volta ottenuto un posto per proseguire gli studi al Royal College of Art (1952-55). Durante una «crisi» di eccessiva fiducia in sé stesso, quando si sentì costretto a conformarsi alle richieste conservatrici del college, Auerbach girò i tacchi e guardò gli scavi che scendevano e le impalcature che salivano in un cavernoso cantiere di Earl’s Court Road. In un modo o nell’altro, saranno i suoi ritratti di donne, pesantemente lavorati e rielaborati, e la frenetica attività urbana di una Londra in trasformazione a definire il suo contributo alla tradizione figurativa britannica. Da quel momento in poi, raramente cercò soggetti altrove.
Una vita monastica
Dopo la svolta, Auerbach desiderava trascorrere ogni momento in studio. Cercò e perseguì una vita monastica. Andava invariabilmente a letto alle nove e si alzava alle cinque, se non prima. «Mondrian non aveva una vita», diceva a sé stesso per rassicurarsi: essere un artista era una decisione, e negare le esigenze sociali e le considerazioni domestiche era essenziale. Per più di mezzo secolo, a partire dall'ultimo anno al Royal College, dove si diplomò con la medaglia d’argento, Auerbach visse in uno studio in un vicolo dietro Mornington Crescent a Camden.
Lo studio, di appena 6 metri per 6, offriva ad Auerbach lo spazio sufficiente per lavorare su due generi contemporaneamente. Ma questo non significa che Auerbach non uscisse. La stessa città di Londra continuò a essere il suo soggetto più amato. Le sue rovine distrutte dal bombardamento, con le sue case scavate e la sua grandezza sventrata, lo ispiravano senza sosta. «Londra aveva un aspetto meraviglioso, ricordava Auerbach dei suoi primi anni in città. Come le cave di gesso sui Downs, caverne e buchi. Meravigliosa: un paesaggio di montagna». Ha fatto dei saggi fotografici sui facchini che trasportavano le carcasse nel mercato di Smithfield con i grembiuli bianchi macchiati di sangue. Girava per Soho di notte. I primi anni di povertà lo hanno spinto a dipingere quasi interamente con i colori della terra in barattoli da cinque litri. «La mia vita era così, rifletteva, camminare per Londra in rovina e avere relazioni intense con poche persone».
Una di queste poche persone, Julia Wolstenholme, che era un anno sotto Auerbach al Royal College, iniziò a posare per lui nel 1959 e e lo fece fino alla fine dei suoi giorni. Si sposarono, ebbero un figlio, Jake, regista, ma presto si allontanarono. L’affermazione di Auerbach che considerava «la pittura come qualcosa che accade a un uomo che lavora in una stanza, da solo con le sue azioni, le sue idee e forse il suo modello» non si conciliava con una vita matrimoniale felice, ma un rispetto più profondo mantenne saldo il loro legame. Wolstenholme paragonava l’esperienza di lavorare per il marito da cui si era separata a quella di «lavare i piatti»: qualcosa che era (volente o nolente) necessario e che richiedeva più tempo di quanto si volesse nelle serate infrasettimanali e nei lenti pomeriggi dei fine settimana. Dopo aver conosciuto Auerbach alla Sidcup Art School negli anni Cinquanta Juliet Yardley Mills (o J.Y.M.) sarebbe presto diventata una delle modelle preferite dell'artista. Questi dipinti carnosi e alla Soutine erano spesso chiamati «teste» anziché «ritratti» e spesso vedono J.Y.M. come persa in fantasticherie, con il collo allungato, gli occhi trasfigurati in sottili fessure e quasi metà del suo aspetto nascosto alla vista.
Catherine Lampert aveva appena curato una retrospettiva di metà carriera alla Hayward Gallery nel 1978, quando le fu chiesto di posare per il pittore, cosa che fece, il lunedì sera per 25 anni, e poi il venerdì pomeriggio. «Per i primi anni in cui ho assistito Frank Auerbach è stato difficile conciliare l’ascolto di una persona così esperta, così dotata nell’esprimere i propri pensieri e i propri ricordi, con la persona che passava quasi tutto il suo tempo a concentrare il suo intero essere su un processo molto disordinato, fisicamente e mentalmente arduo, che si svolgeva in una stanzetta angusta». Lampert ha poi curato altre retrospettive, con Norman Rosenthal alla Royal Academy of Arts nel 2001, al Kunstmuseum di Bonn e alla Tate Britain nel 2015. «La ricompensa è quella di essere colpiti in faccia dal terrificante splendore del mondo di cui Auerbach si stupiva ogni mattina», ha scritto Jonathan Jones in una recensione per il «Guardian». «L’arte, rivela il maestro, è un lavoro che non finisce mai e un occhio che non si spegne mai».
Auerbach sarà ricordato come una parte fondamentale della tanto mitizzata generazione della School of London, un gruppo emarginato di artisti prevalentemente non londinesi che trovarono nella grinta e nel sudiciume della loro città d’adozione materiale sufficiente per rinvigorire un’ambizione nazionale per la pittura modernista. Si allontanarono dalle mode contemporanee per l’astrazione pura e il minimalismo e riabbracciarono la figura. Auerbach fu a lungo particolarmente vicino a Leon Kossoff; vide il gregario Francis Bacon due volte alla settimana per 15 anni; e si attirò le rare lodi del suo collega rifugiato ebreo berlinese Lucian Freud, che scrisse: «Spinto più dall’esuberanza e dall’amore per le grandi opere d’arte che da un bisogno di sostegno, Frank Auerbach usa i dipinti del passato per variare ed estendere il suo soggetto ossessivo».
Auerbach ha descritto queste relazioni conflittuali ma generative come un pugile «sul ring con loro, come diceva Hemingway».
Affinità con gli antichi maestri
Contro sé stesso, però, Freud aveva ragione. Auerbach è sempre stato più a suo agio con i Rembrandt, i Tiziano e i Rubens, suoi compagni di lunghe passeggiate nelle grandi sale della National Gallery, che con gli artisti del suo tempo. Nel 1965 David Wilkie, un impiegato delle assicurazioni della City, commissionò ad Auerbach un’opera d’après Tiziano, che diede vita a una serie di altre opere donate alla Tate, tra cui lo squisito «Bacco e Arianna» (1971). Ventiquattro anni dopo, la mostra «Frank Auerbach and the National Gallery: Working after the Masters», è stata costruita intorno ai disegni realizzati da Auerbach sui dipinti della collezione. Nel 2013-14, sei dipinti di Auerbach sono stati esposti insieme a diversi Rembrandt a Ordovas, Londra, e poi al Rijksmuseum, Amsterdam.
Auerbach avrebbe potuto desiderare di fare solo una cosa, dipingere e continuare a dipingere, ma ha superato di gran lunga il modesto parametro che si era prefissato. Nell'intervista rilasciata alla Bbc nel 2024, Auerbach rifletteva su come «uno dei tanti misteri dell’arte è come la Musa scelga le persone più disparate», prima di elencare i poeti da «un nano gobbo in Alexander Pope, un bracciante analfabeta in John Clare, o una donna disadattata che si uccide bevendo una bottiglia di disinfettante in Charlotte Mew» ma, tuttavia, è la Musa «che li chiama a essere grandi poeti».
Nonostante l’ostinata quiete della sua vita dopo le tragedie infantili, Auerbach è stato chiamato dalla Musa a prendere il suo posto tra questi disparati outsider ai margini, così come tra i suoi eroi degli antichi maestri nelle sale decorate della storia dell’arte. Sarà ricordato come una luce incontenibile in entrambe le stanze e come un artista impegnato il cui contributo alla ritrattistica e alla pittura di paesaggio non ha avuto eguali nel corso della sua lunga vita.
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