Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliDuemila anni di storia e di scambi culturali, raccontati attraverso la dimensione tattile e cromatica. Certo, le miriadi di parole scritte nero su bianco da storici e studiosi sono fondamentali e irrinunciabili per comprendere il passato, ma la storia ha colori e consistenze. Lo si evince dalla mostra «Trad u/i zioni d’Eurasia» (visibile fino all’1 settembre 2024), terzo appuntamento del ciclo espositivo «Frontiere li- quide e mondi in connessione», che il Mao dedica ai 2 millenni passati di cultura visiva e materiale tra Mediterraneo e Asia. Curato da Nicoletta Fazio, Veronica Prestini, Elisabetta Raffo e Laura Vigo, il percorso presenta oggetti del continente asiatico attraverso cui interrogarsi sulle reciproche influenze tra Asia ed Europa, a partire dal ricorrere di colori (blu, rosso e oro) e materiali (ceramica, tessuti, metalli, carta e pigmenti coloranti).
Vi sono le variopinte sete dell’antica regione della Sogdiana (nell’attuale area di Tagikistan e Uzbekistan settentrionali), crocevia culturale e commerciale passato sotto il dominio di più imperi, persiano, mongolo e trimuride. E poi ceramiche bianche e blu prodotte tra il Golfo Persico e la Cina, panni tartarici del XIII secolo risalenti alla dominazione mongola, tessuti con ricamate calligrafie islamica e bruciaprofumi zoomorfi iraninai del IX-XIII secolo. «La mostra si trasformerà con la rotazione di diverse opere, nuove tematiche, commissioni e installazioni di artisti contemporanei (a partire da un’installazione ad hoc di Yto Barrada, Shadi Harouni e Anila Quayyum Agha, Ndr), conferenze e un public program musicale e performativo», spiegano dal museo.
Ma quelle dell’artista franco marocchina Yto Barrada, dell’iraninana Shadi Harouni e della pakistano-americana Quayyum Agha non sono le uniche contaminazioni contemporanee che troverete al Mao. Sabato 4 novembre alle 15, in occasione di Artissima, vengono presentate quattro opere su commissione realizzate in dialogo con la collezione del museo. «Il rituale del serpente» di Marzia Migliora, ispirata all’omonimo libro dello storico dell’arte tedesco Aby Warburg (1866-1929) che descrive i cerimoniali degli indiani Pueblo. Si tratta di cinque arazzi realizzati con disegno, frottage e collage, legati a oggetti rituali al momento non esposti. «Flying Kodama» di Kengo Kuma, una grande sfera in tasselli di frassino sospesa a incarnare lo spirito della foresta.
«Le son de la pierre» di Lee Mingway, un’esperienza di trasformazione rappresentata attraverso un disco di ceramica, una pietra e un supporto di legno: «La piccola pietra rappresenta il potenziale di cambiamento. Con una mano vigorosa, il disco di ceramica viene rotto in una miriade di pezzi, liberando le emozioni stagnanti», spiega l’artista. «Gigli, cinghiali, qualche carpa e poi conigli, galline e asini in gran quantità» di Francesco Simeti, wall paper frutto di una residenza al Mao, uno scenario fantastico ispirato a iconografie e culture di epoche diverse. Fino al 7 gennaio, infine, una selezione di tavole dell’artista taiwanese Animo Chen e un’animazione video con le musiche e la voce di Sam Liao (talk dell’artista il 7 novembre alle 18).
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