Roberta Bosco
Leggi i suoi articoli«Tre anni fa, l’8 aprile 2021, nel catalogo di Ansorena, una nota case d’aste di Madrid, apparve un’opera attribuita a un allievo del pittore spagnolo Jusepe de Ribera. Da subito il Prado intuì che l’attribuzione non era corretta e che probabilmente ci trovavamo di fronte a un’opera perduta di Caravaggio. Avvisò immediatamente il Ministero della Cultura che con la massima celerità dichiarò l’opera non esportabile dalla Spagna». Con queste parole Miguel Falomir, direttore del Museo del Prado, ha dato inizio alla presentazione dell’opera considerata una delle grandi riscoperte della storia dell’arte degli ultimi decenni, avendo ottenuto un consenso senza precedenti riguardo alla sua autenticazione. E pensare che nella vendita di Ansorena il dipinto era apparso con l’irrisoria base d’asta di 1.500 euro.
Da allora sono stati scritti innumerevoli articoli e saggi sul ritrovato «Ecce Homo», dipinto a olio datato intorno al 1606 che rappresenta uno dei momenti più drammatici della Passione, quello riportato nel Vangelo di Giovanni in cui il governatore romano Ponzio Pilato espone Cristo al dileggio del popolo con le parole «Ecce homo» («Ecco l’uomo»). Finalmente, dopo una lunga attesa in cui è stato studiato, restaurato e analizzato in tutti i suoi dettagli, lo straordinario dipinto viene presentato al pubblico in un allestimento ad hoc nel Museo del Prado dal 28 maggio alla fine di ottobre, grazie alla generosità dell’attuale proprietario, un filantropo britannico residente in Spagna, che preferisce mantenere l’anonimato.
Quando venne avanzata la nuova attribuzione, la famiglia Pérez de Castro Méndez, che possedeva il dipinto da due secoli, lo aveva ritirato dalla vendita all’asta e aveva incaricato la galleria Colnaghi di gestirne lo studio scientifico, il restauro e la vendita. Successivamente vari esperti si sono dichiarati a favore dell’attribuzione a Caravaggio e il dipinto ha generato grande interesse accademico e mediatico.
Jorge Coll, direttore esecutivo della galleria Colnaghi, che ha custodito l’opera questi tre anni e ora collabora con il Prado nella sua esposizione, ha affermato che sul mercato internazionale il prezzo sarebbe stato «ben superiore ai cento milioni di euro». I fratelli Pérez de Castro, che lo ricevettero in eredità dal loro antenato Evaristo Pérez de Castro, sembra che l’abbiano venduto per 36, ma il dato non è stato confermato.
A questo proposito c’è stata un’infiammata polemica: possibile che lo Stato spagnolo non abbia modo di acquisire un’opera così importante, di un artista di cui si conoscono solo 60 lavori? Trattandosi di bene d’interesse culturale, sia la Comunità di Madrid sia lo Stato spagnolo potevano esercitare il diritto di prelazione, ma nessuno dei due lo ha fatto. Finora il prezzo più alto pagato dallo Stato per un’opera d’arte sono stati i 4 miliardi di pesetas (circa 24 milioni di euro) versati per «La Contessa di Chinchón» di Goya, ora al Prado.
Gli studi di questi anni ci hanno permesso di sapere molto di più sull’origine dell’«Ecce Homo». Sappiamo che arriva in Spagna nel ’600 con l’attribuzione corretta, che nel 1664 risulta nella collezione privata di Filippo IV di Spagna, e che, dopo vari passaggi, dall’800 alla recente vendita appartiene alla stessa famiglia (la famiglia Pérez de Castro di Madrid).
«Il nuovo proprietario ha fatto sapere al Prado il suo interesse affinché la presentazione al pubblico di un’opera così importante avvenisse in museo e abbiamo accettato la proposta con enorme piacere», ha dichiarato il direttore senza nascondere la soddisfazione per averne bloccato la possibile vendita all’estero. Si tratta infatti di un potente esempio della maestria del processo creativo di Caravaggio, che si materializza nella composizione sapiente di una scena tridimensionale e dinamica del tutto innovativa, seppur rispettosa di una tradizione iconografica antica.
Nei tre anni che sono trascorsi dalla sua apparizione, l’opera è stata custodita dalla galleria Colnaghi con la collaborazione di Filippo Benappi (Benappi Fine Art) e Andrea Lullo (Lullo Pampoulides). Il restauro del dipinto è stato affidato ad Andrea Cipriani, sotto la supervisione di esperti della Comunità di Madrid. Un’ampia intervista al restauratore è stata realizzata da Simone Facchinetti e pubblicata nel suo ultimo libro Il mercato dell’arte. Le regole del gioco, pubblicato da Allemandi nel 2023.
Dopo un’approfondita indagine diagnostica condotta da Claudio Falcucci, ingegnere nucleare specializzato nell’applicazione di tecniche scientifiche allo studio e alla conservazione dei beni culturali, è stato effettuato uno studio dell’opera a cura di Maria Cristina Terzaghi, docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università Roma Tre, membro del comitato scientifico del Museo di Capodimonte di Napoli e una delle maggiori esperte di Caravaggio, Gianni Papi, storico dell’arte e scrittore, Giuseppe Porzio, docente di Storia dell’Arte all’Università di Napoli e Keith Christiansen, curatore del Metropolitan Museum of Art. Dopo aver analizzato minuziosamente le circostanze del ritrovamento, la provenienza, gli aspetti stilistici, tecnici e iconografici dell’opera, la sua fortuna critica e il lascito del maestro a Napoli, i quattro esperti di Caravaggio e della pittura barocca condividono la stessa certezza: l’«Ecce Homo» è un capolavoro dell’artista italiano. «Il rapido consenso nell’attribuzione dell’opera a Caravaggio non ha precedenti nella storia del pittore, su cui gli esperti raramente si sono accordati, almeno negli ultimi quaranta anni», ha affermato Terzaghi.
I risultati degli studi sono raccolti nel volume Caravaggio. L’Ecce Homo svelato edito da Marsilio con testi dei quattro studiosi in uscita il 31 maggio. Il Museo del Prado possiede un’unica opera di Caravaggio «Davide e Golia», realizzata a Roma quando il pittore aveva circa 30 anni, esposta nella sala 7A. «Negli ultimi anni della sua vita la pittura di Caravaggio intraprende un percorso innovativo, sempre più espressionista e quasi scioccante nel modo di catturare la realtà. L’“Ecce Homo”, in cui si condensano tutte le caratteristiche migliori del suo linguaggio, offre una visione complementare al “Davide e Golia”, un esempio magistrale della maturità stilistica che prende forma nel gioco di luci», conclude David García Cueto, capo del Dipartimento di Pittura italiana e francese fino al XIX secolo del Museo del Prado.
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